«Donna non si nasce, lo si diventa» è forse la frase più emblematica e celebre del corposo saggio Il secondo sesso di Simone de Beauvoir che divenne testo di riferimento e manifesto politico per il movimento femminista. Di lì a poco sarebbe stata sovvertita l’idea di femminilità, non più intesa come destino biologico ma frutto di sovrastrutture sociali e culturali e, pertanto, fluida e mutevole. Le donne di tutto il mondo iniziarono a riempire le piazze e a condividere processi di autocoscienza: la sottomissione, quindi, non sarebbe stata più una condizione naturale ma frutto di meri condizionamenti nonché della tendenza (indotta storicamente) all’adeguarsi perpetuo.
Con il Manifesto di Rivolta Femminile, Carla Lonzi – madrina del femminismo italiano – partiva dalla consapevolezza che il personale fosse politico e che il vissuto di ogni donna, attraverso le forme di un linguaggio spogliato dalle forme di patriarcato e privo di ogni filtro, fosse uno degli strumenti imprescindibili per avviare un processo di liberazione ed emancipazione.
Ancora oggi, pertanto, prendere parola pubblicamente risulta atto dirompente. Non è sufficiente soltanto esprimermi ed essere presente ma occorre rintracciare le parole giuste per farlo. Dunque, la scelta ponderata e ragionata di un linguaggio sempre più inclusivo e trasversale diviene un giusto modo di esercitare quotidianamente la vita politica a favore e a beneficio di un discorso di uguaglianza.
Ma il linguaggio politico si relaziona con i progressi che una società civile dovrebbe ambire a conseguire in termini di messa a disposizione di strumenti uguali per tutti e tutte nell’esercizio dei propri diritti e ad una legittima e non disciminata collocazione nel mondo.
Nella giornata dedicata alla donna, il dibattito sul femminismo, sessismo, parità di genere e partecipazione attiva può dirsi ormai superato quando ci si imbatte nelle maglie della vita politica e del potere?
La nuova frontiera della politica attende risposte che rintraccino le proprie radici nelle condotte umane, nell’esercizio costante e quotidiano di ogni forma di rifiuto di violenza o di becero machismo e nella parsimoniosa attenzione che si rivolge alle condotte umane, alle parole gentili.
La donna impegnata nella vita politica dovrebbe, in questo senso, valorizzare l’elemento della diversità rispetto alla narrazione predominante che intravede solo nell’esercizio muscolare e virile della politica l’unico strumento per determinare gli assetti e gli equilibri e prevaricare l’altro.
Bisognerebbe ripensare alla vita politica, soprattutto quando si è donna, confrontandosi con una idea di potere declinato e scandito da ulteriori elementi valoriali: la competenza, la qualità esperienzale, l’approccio con visioni lungimiranti ed il consolidamento di relazioni empatiche.
Per questo alle donne, che scontano secoli di immeritato ed illegittimo silenzio alla presa di parola pubblica, deve essere data la possibilità di usare e gestire il potere nel rispetto pieno di se stesse e della propria diversità, senza stare a scontare il peso illegittimo, sconsiderato e becero della discriminazione e del meschino maschilismo. Come se dovessero le stesse espiare, per chissà quale ragione, una colpa originaria.
Assumere come dirimente questa sfida, analizzando e partendo in primo luogo dal linguaggio e dalla scelte delle parole giuste e calzanti nella vita privata come nella sfera pubblica, significa concedere alla società di darsi una possibilità in termini di civiltà ed emancipazione. Si tratta di dotarsi di strumenti di analisi alternativi, di elaborare progetti, di fabbricare nuovi strumenti operativi e linguistici per una nuova cultura che sappia parlare e tutelare tanti “femminismi”.
Per questa ragione, i modelli economici, politici e sociali non possono più essere declinati con concezione improntata su forme asfittiche individualiste di pochi soggetti soli al comando ma devono cercare al loro interno di prevedere forme di tutela che vadano al passo dei più lenti e che guardino il femminile come elemento non da tenere a bada o in custodia, ma come risorsa, improntata sulla diversità, da cui ripartire.