La spesa per l’istruzione e la ricerca scientifica, in Italia, è in continua riduzione e anche quest’anno questa tendenza continua, in virtù del definanziamento ulteriore per le Università deciso nella Legge di Stabilità del Governo Meloni. È utile ricordare che l’Italia ha una bassissima spesa per le Università e per i centri di ricerca, ha un’incidenza dei laureati sul totale della popolazione inferiore alla media europea e minori sedi universitarie. È forse superfluo, poi, richiamare il fatto che - come rilevato dall’analisi economica e dall’evidenza fattuale - istruzione e ricerca scientifica sono i fattori fondamentali che trainano la crescita economica nelle economie moderne. La ricerca scientifica è, infatti, alla base delle innovazioni tecnologiche e implica elevata produttività del lavoro. La ricerca scientifica finanziata dallo Stato, inoltre, è sempre stata ed è la precondizione essenziale per le innovazioni nel settore privato. Una eccellente recente ricerca di Acemoglou e Johnson (Potere e progresso, 2023) mostra inequivocabilmente come, nella Storia umana, un’istruzione diffusa sia sempre stata una leva essenziale di progresso materiale.
La fondamentale motivazione che spiega questo dato (per quanto riguarda il disinvestimento pubblico in questo settore) è da rinvenirsi nel fatto che i Governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio hanno scommesso su una crescita trainata dalle esportazioni in regime di moderazione salariale. La competitività di un Paese, infatti, si può giocare essenzialmente su due variabili, il cui rapporto definisce il costo del lavoro per unità di prodotto: bassi salari o elevata produttività. I dati (OCSE, 2023) mostrano che il Paese ha registrato una bassissima dinamica dei salari reali, che, su fonte Istat (unico Paese dell’Eurozona), si sono ridotti dal 1990 a oggi.
Si è aggiunta l’ossessione - dal 1992 a oggi, compreso l’attuale Governo - per la riduzione del debito pubblico mediante continue generazioni di avanzi primari: riduzione della spesa corrente e aumento della tassazione (i più anziani ricorderanno, a riguardo, il prelievo sui conti correnti del Governo Amato). I risparmi dello Stato sono stati anche ottenuti riducendo le spese per istruzione e ricerca scientifica, seguendo una rincorsa alla riduzione del debito in rapporto al Pil che si è rivelata una fatica di Sisifo: il continuo aumento dei tassi di interesse sui titoli del debito pubblico ha reso inutile la compressione della spesa pubblica, così che quel rapporto è costantemente aumentato in permanente regime di inutile austerità.
La linea della moderazione salariale, combinata con l’austerità, si è rivelata del tutto fallimentare, dando luogo a tassi di crescita notevolmente bassi. L’ultima previsione per il 2024 riguarda una dinamica del Pil ferma al valore molto modesto dello 0.6%.
Il definanziamento di istruzione e crescita è controproducente anche per la tenuta dei conti pubblici. Istruzione e ricerca scientifica, infatti, contribuiscono a generare crescita economica e, di conseguenza, ad accrescere la nostra solvibilità in quanto debitori, incidendo positivamente sulla dinamica della produttività del lavoro. Si tratta del caso emblematico di effetti dal lato dell’offerta della spesa pubblica, seguendo una regolarità empirica nota come Legge di Kaldor-Verdoorn.
Nei tempi più recenti, e ciò vale soprattutto ma non solo per il Mezzogiorno, la rinuncia a spendere per istruzione e ricerca è stata anche dovuta al confidare - da parte delle classi dirigenti - nel fatto che lo sviluppo del Paese, o di una sua parte (le città d’arte e il Sud d’estate o a Natale e Pasqua), dipenda dai flussi turistici. Questi ultimi, invero, sono resi possibili grazie a un ampio esercito di lavoratori giovani - spesso sovra-istruiti rispetto alle mansioni svolte - con salari bassi o in condizioni di lavoro irregolare nelle attività legate al turismo (ristorazione, lidi balneari). Ben 108 società scientifiche provano a ribaltare questa tendenza, con un appello al Ministro Bernini per l’aumento e la stabilizzazione della spesa per ricerca scientifica in rapporto al Pil (https://www.scienzainrete.it/articolo/appello-ministra-bernini-cogliere-le-opportunit%C3%A0-del-pnrr-ricerca/2022-12-15). Si evidenzia l’emigrazione di numerosi ricercatori italiani, soprattutto giovani, che trovano opportunità di lavoro all’estero e che, quindi, contribuiscono allo sviluppo economico di altri Paesi, in virtù delle basse retribuzioni offerte in Italia e della bassa numerosità di reclutamenti.
Nella negoziazione in Europa sulla revisione del Patto di Stabilità, il Governo avrebbe fatto bene a recepire la proposta - fatta propria da molti economisti non solo italiani e, di recente, dal premio Nobel Giorgio Parisi - di scorporare le spese per la ricerca dal calcolo del deficit. Averla dimenticata costituisce un’ulteriore occasione mancata per il Paese.