Quando si parla di coesione territoriale, il pensiero va automaticamente alla divisione tra nord e sud: la più antica tra tutte le “questioni” che hanno interessato la storia d’Italia. Vi è un’altra frattura, non meno vetusta ma troppo a lungo sottostimata: quella tra le zone interne e i territori più prossimi alle coste. L’Italia, insomma, non è solo tagliata in due in senso orizzontale; lo è anche in senso verticale. La dorsale appenninica e le terre dell’interno sembrano destinate a un inevitabile abbandono: in quei borghi non si nasce più e, se non s’interverrà urgentemente, assai presto se ne andranno anche i vecchi, o per cause naturali o perchè deportati loro malgrado.
Questa dinamica presenta un aspetto paradossale. I luoghi in questione, infatti, sono assai spesso belli, qualche volta bellissimi. Si trovano quasi sempre immersi nel verde, si respira aria buona e vi è buon cibo. Sono posti nei quali esistono tutte le condizioni per vivere bene eppure vengono lasciati, spesso - anche se forse non volentieri - per trasferirsi nelle grandi periferie urbane. In luoghi, cioè, dove la qualità della vita è meno che decente.
Questo paradosso si sta trasformando in un’emergenza nazionale. Nessun Paese può consentirsi di avere quasi un terzo del suo territorio disabitato a fronte di aree iper-affollate. È una “legge” che per primo fissò Aristotele nella Politica: “c’è una misura per la grandezza della città. Una città che abbia un numero troppo esiguo di cittadini non basterà a sé stessa mentre quella che ne ha troppi basta sì a sé stessa ma non è più una città”. E’ proprio così: dopo secoli e secoli le cose non sono cambiate. Non è certo un caso se nelle periferie delle megalopoli si registra la maggior parte delle devianze sociali. Mentre altrove l’abbandono del territorio da parte dell’uomo, privandolo di efficaci presidi, fa venir meno anche investimenti e manutenzione. Sicché non di raro esondazioni di fiumi, smottamenti e incendi prendono avvio in terre abbandonate per andar poi a provocare i maggiori danni “a valle”, nei centri iper-abitati.
Il problema non si risolve con la buona volontà e tanto meno con un sermone. Serve una strategia che sappia sfruttare ciò che la modernità mette a disposizione: la digitalizzazione e persino un buon impiego dell’intelligenza artificiale. Perché solo se in questi centri di un’Italia minore sarà presto possibile lavorare, istruirsi, curarsi, divertirsi sarà anche lecito sperare che il trend s’inverti e che qualcuno lì torni a nascere.
Di queste problematiche si è parlato, qualche giorno fa, in un bel convegno sulle aree interne svoltosi all’Aquila, che per tanti motivi di questi territori sfortunati può essere considerata la capitale. A un dato momento della discussione, l’amministratore delegato di ENIT - l’ente che si occupa della promozione del turismo - ha evocato la necessità di esempi virtuosi e ha citato la Valle d’Itria. Il riferimento potrebbe far rabbrividire puristi e burocrati perchè, per i parametri ufficiali della SNAI (Strategie Nazionali Aree Interne), vi sono luoghi che si trovano al livello del mare classificati “aree interne” e altri, invece, pur trovandosi a svariate centinaia di metri d’altezza, non vengono considerati tali: un ulteriore paradosso.
Si è ben consapevoli che quei luoghi della Puglia, per caratteristiche storiche e geo-politiche sono ben differenti dalle località più impervie dell’Appenino meridionale. Non di meno è un fatto che essi, pur all’interno, sono riusciti a conservare le loro tradizioni cooperativistiche, hanno sviluppato il manifatturiero, hanno saputo valorizzare i prodotti della terra, sono divenuti delle eccellenze in settori emergenti come il food e il turismo. Infine, hanno curato il collegamento con la costa non creando le barriere che altrove, purtroppo, sono state invece issate.
Chi conosce quei luoghi da oltre cinquant’anni, può apprezzare la crescita straordinaria, civile ed economica, che lì si è prodotta. Un raro caso di sviluppo sostenibile che, a breve, riceverà un’occasione unica d’essere presentato al mondo intero. Il G7 di Borgo Egnatia, infatti, fisserà l’obbiettivo anche sugli adiacenti territori dell’ interni che ad essa fanno da sfondo. Per la Puglia si tratta di una scommessa nella scommessa. Perché, se ben sfruttata, l’occasione potrà fare delle terre della Valle d’Itria un esempio virtuoso che, con i dovuti adattamenti, potrà aiutare tanti luoghi che oggi appaiono destinati a un’ineluttabile decadenza ,a cambiare verso.