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Non chiamateli eroi o angeli: i medici sono «solo» medici abbandonati in prima linea

 
Roberto Calpista

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Roberto Calpista

Non chiamateli eroi o angeli: i medici sono «solo» medici abbandonati in prima linea

All’inizio della pandemia il personale sanitario è stato osannato dalle istituzioni, celebrato con riconoscimenti, murales, lunghissimi applausi e flash mob dai balconi

Lunedì 23 Ottobre 2023, 14:00

Non chiamateli eroi e nemmeno angeli. Restare per ore al fianco di un paziente che è a pancia in giù su un letto di rianimazione o su una barella di un Pronto soccorso, mentre il Covid gli mangia i polmoni, è il compito, anzi il dovere di un medico. È il tentativo, a volte estremo, di salvare una vita umana, il fine unico per chi ha scelto questa professione.

Una premessa per riacchiappare la notizia di questi giorni: i direttori di tre reparti del policlinico di Bari sono stati multati dall’Ispettorato del lavoro per aver «prolungato» gli straordinari quando tutti gli ospedali d’Italia, già alle prese con una cronica crisi della sanità pubblica, erano soffocati dall’emergenza pandemica.

Negli anni dell’orrore fece il giro del mondo l’immagine di un’infermiera dell’ospedale di Bergamo che dormiva stremata su una scrivania. Lei, come molti operatori della sanità che hanno visto in faccia il coronavirus, non si è tirata indietro. Ha accettato turni massacranti, con pazienti che arrivavano spesso in situazioni già compromesse perché del virus si sapeva nulla, la paura negli occhi di ognuno di loro. In televisione sfilavano le bare di Bergamo. La notte dei camion dell’esercito che attraversavano la città era quella del 18 marzo 2020, oggi diventata Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid-19.

Sono passati mesi e gli stessi medici chiamati angeli ed eroi sono stati messi da parte.

All’inizio della pandemia il personale sanitario è stato osannato dalle istituzioni, celebrato con riconoscimenti, murales, lunghissimi applausi e flash mob dai balconi. Nell’ultimo anno, con il susseguirsi delle ondate di contagi, la situazione si è ribaltata. I medici sono diventati più spesso il bersaglio verso cui sfogare paura, disinformazione, cattiveria. Con insulti, attacchi sui social, aggressioni fisiche nei pronto soccorso, dentro ai reparti e nelle ambulanze.

E oltre al danno, la beffa. Quelle multe comminate a chi ha sforato i tempi del «cartellino» dalla incalzante, quanto stupida burocrazia in un Paese che avanza a tentoni, dove la mano sinistra non sa cosa fa la destra.

Alle proteste dei tre primari baresi, si sono unite quelle pressocché unanimi del mondo politico. È intervenuto il Colle e il governo con il ministro del Lavoro, Marina Calderone: per ora l’Ispettorato ha sospeso ogni azione. Poi si vedrà.

Ma cambia poco. Perché anche adesso che la pandemia ha allentato la presa, negli ospedali si soffre per un impegno che va oltre - vista anche la delicatezza - l’umano, in una professione che non si può fare - non si dovrebbe fare - guardando l’orologio. Esasperati i medici da turni massacranti, esasperati i pazienti che spesso non trovano adeguate attenzioni.

Che dire di un Paese, con il Sud ancora una volta in testa in questa classifica capovolta, in cui le liste di attesa spesso sono una condanna a morte o a sofferenze che forse si sarebbero potute evitare? Che dire di un Paese in cui la gestione della sanità è spesso materia di lottizzazione di una politica miope e arraffona? Perché tutti lo promettono, ma nessuno osa abolire i demenziali test di ingresso alle facoltà di Medicina e delle altre attività ad esse collegate, quando è noto che il sistema produce un vorticoso giro economico a vantaggio di soliti ma potenti noti?

Il Covid ha «solo» evidenziato a prezzo di migliaia di morti quello che sapevamo già: mancanza di prospettive di carriera, orari di lavoro che superano le 48 ore settimanali, persone con decine di giorni di ferie accumulati e una media degli stipendi che è tra le più basse d’Europa.

Nella medicina ci deve essere (non sempre è così) la vocazione, ma si devono fare i conti anche con l’umana stanchezza e la sensazione di girare a vuoto, scontrandosi non solo con la malattia da combattere, ma anche, spesso soprattutto, la cieca burocrazia.

Il Giuramento d’Ippocrate, il ruolo fondamentale della sanità pubblica, gli studenti che sognano il green e la corsia sono svaniti, sviliti da errori nella programmazione, tagli dei posti letto, condizioni non adeguate, malcontento generale, posti vacanti nelle scuole di specializzazione, infine la corsa al pre-pensionamento non equilibrata dal numero dei nuovi assunti. Mentre il tutto era ed è gestito da ragionieri dotati di pallottoliere e «teleguidati» da chi di sanità reale non capisce alcunché.

Scrive un sindacato dei medici, la Cimo-Fesmed: «Questa multa ha la stessa valenza di un pugno sferrato in un Pronto soccorso da un paziente esasperato lasciato per giorni su una barella o di una denuncia presentata a causa di intollerabili tempi di attesa. Solo che questa volta è lo Stato che scarica sui propri “eroi” la colpa dei propri errori».

Cimiteri e ospedali rispecchiano lo stato di civiltà di un popolo, in Italia (e in Puglia) soprattutto con i secondi abbiamo più di un problema. Assessori competenti e governatori (nessuno escluso negli ultimi decenni) promettono di occuparsene, ma sembrano davvero alle prese con rebus irrisolvibili. Ci sono due sanità ma su binari profondamente divergenti. Quella dei burocrati, della politica, dei voti, degli incarichi, del tutto si risolve e, in caso di necessità, del «non sa chi sono io». Poi c’è l’altra, reale, quella della prima linea. E infine resta la sanità percepita da tutti noi poveri cristi che non gira, o meglio lo fa ma povero chi capita. Quella dei palazzi di potere è invece sempre eccezionale, fuffa eccezionale.

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