Si aprirà domani in Vaticano il Sinodo dei vescovi, che si terrà per la prima volta nell’Aula «Paolo VI», considerando che il numero dei partecipanti è particolarmente lievitato con l’ingresso di 70 membri, anche non vescovi, proposti dai Sinodi continentali, che si aggiungono, poi, ai membri di nomina pontificia; e sarà un incontro a porte chiuse, in attesa della seconda parte dell’assemblea che si terrà l’anno prossimo.
Il primo ispiratore dell’iniziativa è stato senza dubbio papa Francesco, ma forse una delle spinte decisive è venuta dalla pandemia, che ha scompaginato anche la vita ecclesiale e ha amplificato i nodi irrisolti che la Chiesa italiana, e non solo, si porta appresso da tempo. Il suo cammino sinodale è stato varato dall’episcopato dopo molti dubbi e tentennamenti: per l’emergenza vissuta, per la stanchezza di un cattolicesimo che sta vivendo la sua fase autunnale, per il timore di non poter disporre di risorse umane, culturali e spirituali per far fronte alle sfide di oggi.
Tuttavia, alla fine la CEI ha innescato questo cammino, coinvolgendo le diocesi, considerandolo come un’occasione propizia per rinnovare la comunità ecclesiale, per chiedersi che cosa ci sia di cristiano che valga davvero la pena di «dire» oggi. Una novità assoluta, certo, per la Chiesa italiana, che nella sua storia recente si è misurata con altre forme di «convenire ecclesiale», rappresentate dai Convegni ecclesiali decennali, per lo più collegati ad un «piano pastorale», e dalla possibilità di attuare Sinodi nelle varie diocesi.
Occorre, comunque, notare che la nuova esperienza presenta, almeno nelle intenzioni, varie discontinuità rispetto al passato. Anzitutto, il passaggio da un modo di procedere deduttivo e applicativo, guidato e concluso dai vertici, ad un metodo di ricerca e di sperimentazione che costruisce l’agire pastorale partendo dal basso e in ascolto dei territori: una specie di percorso circolare, in quanto la riflessione e la partecipazione attiva di tutti i soggetti deve poi confluire in un momento unitario, per poi tornare ad arricchire le comunità locali.
Si è delineato, così, un cammino molto più aperto rispetto ad analoghe esperienze del passato, reso possibile da un coinvolgimento diffuso, certo difficile in quanto occorre ricreare quella fiducia e quella passione per le sfide impegnative che da tempo sono risorse rare negli ambienti ecclesiali. Il percorso sinodale, come si sa, ha visto dapprima la stesura di un «Documento preparatorio», con un questionario che ha chiesto il coinvolgimento di tutti: dalle risposte giunte da conferenze episcopali, dicasteri, congregazioni e popolo di Dio, è stato redatto un documento di lavoro per la tappa continentale del Sinodo, che è servito da guida per le 7 tappe continentali, definitesi diversamente a seconda delle località geografiche.
Da questi documenti finali si è raccolto il materiale che ha portato alla stesura dell’«Instrumentum Laboris», che non assomiglia ad un’indagine sociologica, né offre una compiuta proposta teologica. Anzi, la volontà è stata quella di cogliere alcune priorità emerse nelle assemblee, soprattutto in forma di domande; sarà l’Assemblea sinodale ad operare un discernimento per identificare alcuni passi concreti per continuare a crescere come Chiesa sinodale, che sottoporrà, poi, al papa.
Fra i temi proposti, alcuni sono i classici campi di impegno della Chiesa: emergenza educativa, formazione delle coscienze, la carenza di vocazioni , mentre altri derivano anche dal travaglio vissuto dagli ambienti ecclesiali proprio nei mesi bui della pandemia. Tra questi, la semina della Parola attraverso nuovi canali di ascolto e gli strumenti tecnologici, il coinvolgimento delle famiglie nella proposta di fede, la valorizzazione di forme di preghiera individuale e comunitaria accanto alla Messa e, inoltre, la preoccupazione per il forte calo della presenza dei ragazzi negli ambienti ecclesiali. Personalmente aggiungerei anche l’urgenza del recupero dell’aspetto escatologico della fede nell’aldilà e della speranza oltre la morte.
Resta, comunque, una domanda: come si produrrà la sintesi di questo iter di comunione e riflessione in un’epoca in cui la frammentazione abita anche le Chiese? A me fa tenerezza una Chiesa che si sente continuamente interpellata da quelle sfide, quando al suo interno di anno in anno si riducono le risorse umane, si chiudono seminari, scuole e oratori, ci si affida ad una pastorale degli eventi perché mancano i preti, le suore e gli animatori laici. Ovviamente, si tratta di un trend che ha le sue ragioni nell’età sempre più anziana sia della popolazione che delle figure religiose. Ma una Chiesa che non fa di tutto per riequilibrare la sua presenza/servizio nella società, in questo caso investendo nel rapporto con i giovani e per seguire le nuove famiglie, è forse una Chiesa destinata a situarsi ai margini della storia.