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La formazione dei ragazzi schiavi dello smartphone e la banalità del male

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

La formazione dei ragazzi schiavi dello smartphone e la banalità del male

Ha fatto da babysitter, da maestro, più avanti nel tempo da amico, da antidoto alla solitudine e da esclusiva agenzia formativa, soppiantando la scuola

Sabato 26 Agosto 2023, 13:43

Hannah Arendt, l’immensa pensatrice del Novecento che ha avuto la ventura di avere più citazioni che letture, è nella conoscenza dei più per un libro, La banalità del male, scaturito da una sua attenzione cronachistica al processo del gerarca nazista Eichmann. Il personaggio, neanche troppo importante e neppure abbastanza intelligente, si era macchiato di delitti, ritagliandosi una posizione di rilievo nella triste sequenza di atrocità che va sotto il nome di Olocausto. Scriveva la Arendt dell’imputato al processo di Norimberga: «egli non era intrinsecamente cattivo, ma semplicemente superficiale e inetto, un “joiner”, nelle parole di un critico contemporaneo, uno che “va dove tira il vento”».

Leggendo le cronache dello stupro di gruppo a Palermo da parte di un branco di minorenni (o quasi), viene da pensare a quella spirale di sadismo, animalità e inconsapevolezza, il menù ideale secondo le scienze psicosociali per interpretare fenomeni umani estremi. Quel comportamento deviante ha trovato illustrazione in molti esperimenti condotti in laboratorio fin dagli anni sessanta, uno famoso fra gli altri: arrecare attraverso pericolosi taser (con la collaborazione di attori, e non sul serio, ovviamente) il massimo dolore ad una persona, soltanto per obbedienza ad una autorità medica che lo ordina. Sorprendente fu la percentuale bassissima di chi oppose rifiuto a quell’esperimento, coperta dall’alibi dell’ordine di un’autorità. L’ordine del falso medico in camice bianco, nel caso del branco palermitano, è sublimato dallo smartphone. Lo stesso strumento di un altro branco in spider che filmava in diretta, poche settimane fa, l’ebbrezza di una corsa forsennata sulle strade cittadine, a favore di tik tok o chissà quale altra demenziale piattaforma, con omicidio stradale in chiusura. Ma l’elenco può essere davvero molto lungo quanto l’accumulo di intere quotidianità inframezzate da queste letali idiozie. Che mostri sono questi ragazzi, adolescenti o poco più, che ammazzano, stuprano e filmano per un like sul social condiviso da amichetti virtuali? Sarebbe più comodo e rinfrancante per tutti se fossero mostri davvero: non lo sono. Sono figli e nipoti nostri,che registrano lo stesso livello di fragilità della generazione che moriva per overdose di eroina quaranta o cinquanta anni fa, gonfi del niente esistenziale che non è raro a quell’età, ma che poi guarisce con la formazione, l’impegno, lo scambio intergenerazionale, l’acquisizione di strumenti per “leggere e interpretare” il mondo.

A questi ragazzi, figli anch’essi di una generazione difficile, incerta tra una genitorialita’ elusiva e condiscendente ed una intrusiva e autoritaria, è stato dato fin dalla tenera età un solo strumento di comunicazione col mondo: lo smartphone. Ha fatto da babysitter, da maestro, più avanti nel tempo da amico, da antidoto alla solitudine e da esclusiva agenzia formativa, soppiantando la scuola (in crisi già da decenni) e la famiglia (in crisi da sempre). In assenza di altri impulsi capaci di interessare il pupo e con in mano soltanto questo rametto da rabdomante alla ricerca del mondo, è meno difficile capire come possano accadere certi fatti raccapriccianti. È stato sradicato l’albero del bene e del male: non c’è colpevolezza perché non c’è alcuna consapevolezza. Questi ragazzi sono i sudditi di Musk, Zuckerberg e compagni, impostati come piccoli homini consumens, e rimediati della loro solitudine generazionale dall’offerta di una socialità virtuale. Il branco di giovani stupratori probabilmente è fatto da consumatori compulsivi di filmati porno raccolti nella rete: se quello che so sul sesso lo attingo in questo modo, come mai potrò capire dove sta il limite? Come farò a comprendere che bere una lattina di red bull insieme agli amici non significa che la ragazza sia disponibile a farsi fare qualunque cosa, come nei peggiori video postati sulla rete? Orrore a parte, fa pensare il commento di una dei ragazzi di Palermo che registra compiaciuto la condivisione di tante fanciulle alle sue prodezze.

È questa la nostra “banalità del male” che allaga il quotidiano e rischia di strangolare il futuro. Siamo tornati al giardino dell’Eden dopo che l’albero della conoscenza l’avevano bruciato. Bisogna far presto a ripiantarlo. Prima che sia troppo tardi.

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