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Finanziamento dei partiti, ma quanto costa... e se facessimo alla tedesca?

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

Finanziamento dei partiti, ma quanto costa... e se facessimo alla tedesca?

Il governo Letta cancellò il finanziamento pubblico ai partiti con un atto penitenziale che, di fatto, ammetteva l’inutilita’ di quella «regalia», negando la stessa funzione costituzionale del partito e la necessità di far funzionare la democrazia

Lunedì 03 Luglio 2023, 13:46

Ci sono argomenti indigesti, avviluppati dentro un fagotto peloso che non va giù manco col Viakal. Ma di certo ce n’è uno che supera tutti gli altri fino ad entrare nella zona proibita, ed è quello del finanziamento della politica. Già vedo voltare pagina a qualcuno dei miei 25 lettori e qualcun altro alzare il sopracciglio con un accenno di riprovazione. Aspettare un momento, please. Dal 2014 la politica non riceve più finanziamento pubblico.

In passato ne accaddero di cotte e di crude e si pescarono signori in doppiopetto con il «sorcio in bocca»: c’era chi con i soldi della Regione si comprava mutande verdi, chi con l’allure di un protagonista dei film di Vanzina millantava d’essere in missione per conto di «Picone» e metteva in tasca bustarelle, chi, governando l’amministrazione dei fondi di partito, faceva sparire milioni di euro come il mago Casanova.

Insomma, il nervo scoperto di un corpo elettorale già stanco di suo per l’inettitudine di un ceto parlamentare raccattato dove capita, con leggi elettorali che sottraggono l’eletto al controllo dell’elettore, era dilaniato, ci metti sopra questa bella infilata di episodi, enfatizzata da media e populismi aggressivi, e l’esito diventa inevitabile.

Il governo Letta cancellò il finanziamento pubblico ai partiti con un atto penitenziale che, di fatto, ammetteva l’inutilita’ di quella «regalia», negando la stessa funzione costituzionale del partito e la necessità di far funzionare la democrazia. Non che i fenomeni devianti fossero una novità nella scena pubblica: si pensi che le prime tracce di bustarelle sono rintracciabili addirittura nel codice di Hammurabi (ma riguardano un magistrato che si vendette la sentenza): il punto, però, è che, rincorrendo i populismi e non avendo, forse, più la capacità di dialogare col popolo, la politica si è piegata ad una emozione producendo probabilmente danni peggiori.

Come si finanziano oggi campagne elettorali, sedi politiche, giornali, convegni, pubblicazioni, attività di formazione, insomma, tutto quello che ha a che fare con la politica concreta?

Le fonti sono due: l’attingimento dal due per mille e il finanziamento privato. Il due per mille ha prodotto, osservando le ultime dichiarazioni IRPEF disponibili (2022, con riferimento al 2021), un volume complessivo di 20,4 milioni di euro. È poco? È tanto? Sfido chiunque a trovare nel centro di Roma un appartamento di almeno 300 mq. per ospitare dignitosamente la sede nazionale di un partito a meno di 120-150 mila euro all’anno.

Poi bisogna farlo funzionare, attrezzarlo e pagare qualcuno che lo tenga aperto, e questo solo per mettere una bandierina nella capitale.

Per il resto del Paese? Boh!

Interessante, poi è scorrere i dati della ripartizione di queste risorse: al primo posto il Pd, con 7,34 milioni, seguito da Fratelli d’Italia con 3,12 e da Azione con 1,25, e a ruota da Salvini con 1,21. Sotto la soglia del milione Italia Viva ( 973), i Verdi (837), Forza Italia (581), Più Europa (577).

Gli altri 4,5 milioni dovuti alla generosità degli elettori che non solo pagano le tasse ma indicano pure il partito a cui destinare il beneficio, sono quasi argent de poche sparso qua e là. Diventa facile comprendere, allora, che la fonte più cospicua degli introiti dei partiti in rosso fisso (nel senso di bilancio, non di visione politica...) diventa quella dei privati. Tanto per non girarci troppo attorno il partito personale per antonomasia, Forza Italia, si giova in bilancio di un introito fisso, regolarmente registrato, pari a 700.000 euro annui versati dalla famiglia Berlusconi, ma, ovviamente, non sono contabilizzati interventi diretti e di natura diversa da versamenti di denaro.

Né è passata inosservata lo scorso anno l’impennata registrata dal Partito di Giorgia Meloni alla vigilia della sua vittoria (largamente annunciata): rastrellò poco meno di 4 milioni di euro. Tra i donanti anche supporter che speravano nella candidatura o nella riconferma parlamentare. Qual è la morale di questa favola?

A giocare col populismo si mette la politica nelle mani del denaro, secondo il modello turbocapitalista americano, e si toglie autonomia ai decisori pubblici. La democrazia europea aveva altre visioni, che ancora oggi vengono ben interpretate, per esempio, dal sistema tedesco.

Lì i partiti ricevono il finanziamento dallo Stato- ovviamente con controlli adeguati e non solo pro-forma- ma quel che è più importante lo Stato sostiene anche la formazione dei giovani politici, attraverso le fondazioni. Una per partito, s’intende, con verifica seria dell’operato. Varrebbe la pena prenderne esempio.

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