Il 1 Maggio come il 25 aprile, sull’esempio autorevole del Capo dello Stato Mattarella, ci ritroveremo tutti a celebrare la Festa del Lavoro. Lavoro «che non c’è», però, come si ripete malinconicamente da decenni a questa parte. Ed è vero, da troppo tempo gli uomini, i giovani, ancora più pesantemente le donne e le ragazze, sono afflitti dalla disoccupazione, la malaoccupazione, l’inoccupazione, la precarietà, affrontate senza misure efficaci dai Governo che si succedono.
Obiettivo comune degli Italiani oggi è il lavoro, ieri era la libertà, di pensiero, d'espressione, di adesione politica, di militanza sindacale. Centotrent’anni fa, era proibito «cantare» il lavoro, alla fine del 1893, il Ministero dell’Interno ricordava alle Prefetture di vietare l'Inno dei Lavoratori, dichiarato fuorilegge. Sei anni prima, il canto orgoglioso delle lotte operaie e delle battaglie dei Socialisti italiani era stato eseguito per la prima volta a Milano, su musica del maestro Amintore Galli e con le parole di Filippo Turati («Su fratelli, su compagne, su, venite in fitta schiera: sulla libera bandiera splende il sol dell’avvenir»).
Le Autorità lo consideravano sovversivo e imponevano il sequestro degli spartiti e degli stampati del testo. Nel 1898, a Milano, i cannoni del generale Bava Beccaris repressero i moti operai, poi il fascismo ha imposto le sue negazioni e divieti, ma la Resistenza ha liberato anche quell’inno, che ascoltiamo con commozione, perché rappresenta la storia dei lavoratori, è la colonna sonora del movimento sindacale, al quale dobbiamo la dignità e la difesa di tutti gli occupati.
Il 1 Maggio è giornata dei Sindacati, il cui ruolo è stato e resta fondamentale, tanto più mentre il Governo delle Destre si fa battere alla Camera sul Def, per un deprimente fenomeno di assenteismo nella maggioranza, a testimonianza di un momento di incertezza della politica, soprattutto di sciatteria, che gli Italiani non meritano.
In altri tempi, nell’Italia dei partiti e della Politica con la maiuscola, il Parlamento adottava lo Statuto dei Lavoratori, la Carta della democrazia del lavoro, grazie all’impegno generoso di un socialista e sindacalista, Giacomo Brodolini, il padre di quel provvedimento storico nel 1969 con la collaborazione della prestigiosa scuola del lavoro dell’Università di Bari, diretta da Gino Giugni. Brodolini non andrebbe solo riscoperto, ma ancora una volta ringraziato per quello che ha fatto per la democrazia nel nostro Paese.
Ritengo che in questo 1 Maggio vada ricordato, insieme a tutti i protagonisti di tante battaglie, ancora di più in considerazione delle contraddizioni che oggi penalizzano il mondo del lavoro. Diritti non sempre riconosciuti, retribuzioni al di sotto del lecito e del ragionevole, garanzie che saltano, un Sud che aspirerebbe legittimamente a ritrovare tutta la sua «meglio gioventù», andata altrove e all'estero a cercare un lavoro qualificato e dignitoso.
Altra piaga, la disoccupazione femminile. Il lavoro delle donne è sempre più difficile, soprattutto nel Mezzogiorno e non confortano le notizie che arrivano dal Pnrr, in tema di asili nido. Quello delle strutture prescolari è un nodo strettamente legato all’occupazione femminile. È importante realizzare nel Mezzogiorno una rete di asili nido che consenta alle giovani coppie, alle neo mamme, di lavorare sapendo che c'è la possibilità di lasciare i propri figli in strutture pubbliche sicure. Più scuole dell’infanzia sarebbero una carta per contrastare la denatalità e un fattore occupazionale rilevante. Occorre mettere mano finalmente a un piano nazionale per la modernizzazione delle rete degli asili nido, consentendo al Sud di colmare anche quel gap strutturale con il Nord e dando respiro alle imprese edili. Risponderebbe alle attese dei meridionali, mettendo al lavoro migliaia di figure professionali e di addetti su tutto il territorio, peraltro in gran parte donne.
Se la cura dell’infanzia è una risorsa in prospettiva, sono già una certezza i record della Puglia della modernità: in questi anni la nostra «è sempre stata tra le prime regioni d’Europa nella spesa dei Fondi Ue» e oggi lo conferma, dei 4,3 miliardi di euro assegnati da Bruxelles, restano da destinare appena 100 milioni.
Di contro, si fa strada il rischio che non arrivino le risorse europee del Pnrr, soprattutto nel Sud. Il Ministro Fitto ha dichiarato che sul Piano incidono troppi ritardi, con lavori fermi al 60%, progetti in alto mare per gli asili (2mila strutture a rischio) e fondi da rimodulare. Deve partire una corsa, ma il filo di lana è lontano. Il rush finale esige uno sforzo straordinario che metta insieme Governo nazionale, Regioni e Comuni.
Nel post pandemia e nell’auspicio di un cessate il fuoco in Ucraina, sono più che mai tanti e stringenti i temi al centro di questo 1 maggio, giorno di riflessione, non solo di festa: ritroviamoci, per ripartire insieme.