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Pronti, partenza… Fiera! Ha ancora un senso migliorare per crescere

 
Luigi Triggiani

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Luigi Triggiani

Levante Prof alla Fiera del Levante

Una decina di lunghe e ininterrotte giornate dell’ancora torrido settembre pugliese, dodici ore di lavoro al giorno, sorrisi e piedi gonfi: questa è sempre stata la Campionaria barese per gli espositori e per i ragazzi che facevano le loro prime esperienze da mercanti negli stand

Giovedì 13 Aprile 2023, 13:16

Una decina di lunghe e ininterrotte giornate dell’ancora torrido settembre pugliese, dodici ore di lavoro al giorno, sorrisi e piedi gonfi: questa è sempre stata la Campionaria barese per gli espositori e per i ragazzi che facevano le loro prime esperienze da mercanti negli stand della Fiera.

Un appuntamento fisso per centinaia di migliaia di persone, col suo portato di confusione e di caravanserraglio levantino e commerciale, tra prosopopea e suk, tra le ormai lontanissime giornate del Mezzogiorno - con i ministri, i meridionalisti, le grandi aziende pubbliche con ridondanti stand istituzionali - e i panini con wurstel della Germania, le merendine Aida, il lunapark, lo zucchero filato.

Già alla sua prima edizione, inaugurata dal re Vittorio Emanuele III il 6 settembre 1930, la Campionaria barese si pose all’attenzione nazionale, tanto da far proclamare al monarca che: «Il Mezzogiorno d’Italia, finalmente davvero equiparato al rimanente d’Italia nelle volontà del Governo, è il segno più evidente e tangibile dell’Italia nuova, unita negli intenti, tesa nello sforzo di una conquista ideale che gli stolti, i ciechi, gli invidi, i pavidi non possono e non vogliono vedere, e non sapranno mai godere, né intendere». La Fiera, un appuntamento che negli ormai lontani tempi del monopolio Rai regalava anche la trasmissione di film mattutini, una esclusiva e un vero e proprio evento nazionale che celebrava la fine delle vacanze scolastiche. E poi la diretta nazionale della cerimonia inaugurale, un appuntamento vissuto con la stessa enfasi del discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, con l’immancabile intervento del Presidente del Consiglio che ogni anno veniva ad annunciare le linee guida del governo. Proprio a Bari uno dei primi ministri per il Mezzogiorno, Giulio Pastore, in un discorso in Fiera, nel 1958, annunciò quel cambio di passo e di linea della «Cassa» che ha consentito quel rilancio economico e il primo e forse unico reale intervento per superare il gap tra Nord e Sud del Paese. Ma la Campionaria è sempre stata soprattutto una forma liturgica, un fenomeno sociale che trova spazio nell’amigdala dei pugliesi. Addò a da scì? Alla fiìre? (letteralmente: «dove vai così conciato? Alla Fiera del Levante?») è un’antica locuzione dialettale barese utilizzata quando si vuol prendere un po’ in giro una persona particolarmente ben vestita, magari in occasioni in cui tale eleganza non sia richiesta; un modo di dire che deriva proprio dal valore mondano che la Fiera aveva un tempo, quando ci si poteva permettere di vestirsi in maniera elegante solo per le grandi occasioni. E ancora, un’immagine che ci è stata solo tramandata: due grandi pupazzi che ridevano a crepapelle all’interno della rassegna; un’attrazione di cui parlavano i vecchi che usavano dire pàr u p’pàzz della Fiìre (assomigli al pupazzo della Fiera) per prendere in giro chi rideva troppo facilmente, senza particolari ragioni.

E tra i ricordi dei più anziani appare, seppur sfocata, un’altra antica consuetudine dei meno abbienti, tantissimi nel dopoguerra: nelle sue prime edizioni, in Fiera si andava in gita, attorno alla fontana, con pasta al forno al seguito, senza nemmeno entrare nei padiglioni. Un pellegrinaggio pagano, un amore e una devozione ancora radicati.

Oggi nessuna Campionaria può avere lo stesso fascino di mezzo secolo fa ma la Fiera del Levante ha pur sempre un marchio e una localizzazione strategica che possono ancora dare molto. Tanti commerciali si sono formati tra gli angusti stand dei venditori di stoviglie padani, che nei dieci giorni di stagione occupavano militarmente le allora rare trattorie della costa barese, rendendole famose in tutta Italia insieme ai piatti tradizionali della nostra terra. Quanto vale tutto questo? Quanto ha dato la Fiera al territorio nell’ultimo mezzo secolo? Puro, efficacissimo marketing territoriale.

Un tempo le fiere costituivano la sola occasione per far incontrare venditori e compratori. Chi vendeva poteva far conoscere i suoi prodotti e chi comprava aveva modo di confrontare molte alternative. Oggi le aziende hanno siti web e piattaforme social dove mettere in mostra tutta la loro gamma d’offerta, con strumenti sempre più efficaci. Chi compra può in qualche modo confrontare dalla sua scrivania e in tempo reale fornitori alternativi situati in ogni parte del mondo. Tutto finito, quindi? No, solo cambiato.

Oggi non si partecipa a una Fiera per vendere o comprare qualcosa ma - citando Maurizio Pisani, esperto di Marketing scomparso tragicamente nel 2016 insieme ad altre 22 persone nel drammatico scontro tra treni tra Andria e Corato - «per creare uno degli elementi su cui si basa, ancora oggi, ogni rapporto economico: la relazione umana, che spesso è la vera discriminante della scelta tra un fornitore e un altro, a parità di condizioni. La fiducia è ancora alla base di ogni business che si vuole far divenire continuativo. Tutti facciamo più volentieri affari con qualcuno che conosciamo personalmente, di cui ci fidiamo. Ecco perché le Fiere hanno ancora un ruolo, ed ecco perché le rassegne specializzate BtoB più importanti costano ogni anno di più e fanno registrare spesso il tutto esaurito, nonostante il mondo sia sempre più connesso via Internet. Il tempo speso in attività di relazione, in Fiera, è infinitamente più produttivo di quello speso per spiegare a chi ascolta le caratteristiche eccezionali del proprio nuovo prodotto. Per fare quello, basta Internet. Per stringere la mano e guardare negli occhi la persona con cui vogliamo costruire un rapporto commerciale, invece no».

Le fiere sono una vera manna per l’intero territorio in cui si realizzano; lo insegnano città come Verona, Parma e soprattutto Bologna, che nel ventennio a cavallo del secolo scorso, con una gamma di rassegne specializzate (Eima, Saie, Cersaie, Sana, Motorshow, per citarne alcune) riusciva ad attrarre ricchezza per la maggior parte dei giorni dell’anno. Lo hanno capito a Milano, che da anni sta investendo fortemente in questo asset con la nuova Fiera di Rho-Pero, che con i suoi 400mila mq. espositivi è ormai un gigante internazionale.

Lo hanno capito ancora meglio i tedeschi che, con un piano nazionale curato nei dettagli per accaparrarsi il turismo business mondiale, hanno costruito impianti fieristici moderni nelle più importanti città, fino a diventare leader mondiali, con 6,5 milioni di mq. espositivi e dieci milioni di visitatori all’anno. Colonia, Hannover, Francoforte, Norimberga, Hessen, ospitano ormai tutte le fiere più impianti al mondo in ciascun settore specifico. Saloni espositivi facilmente raggiungibili, a un passo dalla fermata della metropolitana, con parcheggi sui tetti dei padiglioni e con addetti che all’uscita ti offrono caffè caldo mentre fai la fila per prendere un taxi, rendendoti più lievi anche quei due minuti di attesa all’aperto, a 10 gradi sotto zero del febbraio in Baviera.

La Fiera resta il migliore degli amplificatori possibili per un pubblico alla continua ricerca di «storie vere» e che a ogni nuova edizione passa ad esplorare una nuova locanda, un borgo vicino, un piatto tradizionale diverso. Professionisti e imprenditori che racconteranno con entusiasmo, una volta tornati a casa, l’esperienza esotica vissuta.

Bari e le sue storiche e ancora attuali connessioni verso Oriente, lasciano possibilità concrete per contribuire a cambiare volto a questa regione. Un centro fieristico specializzato serve, abbiamo un antico blasone da onorare e la necessità di fare bene. Si può fare meglio e di più? Certamente. Possiamo farlo tutti.

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