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Ma le sanzioni occidentali non provocheranno a breve il collasso della Russia

 
Salvatore Rossi

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Salvatore Rossi

Vladimir Putin

Mentre si discute animatamente delle sorti della guerra in Ucraina l’attenzione sulle sanzioni economiche applicate da molti Paesi contro la Russia, subito dopo l’invasione dell’Ucraina un anno fa, è andata scemando

Sabato 25 Febbraio 2023, 13:47

Mentre si discute animatamente delle sorti della guerra in Ucraina l’attenzione sulle sanzioni economiche applicate da molti Paesi contro la Russia, subito dopo l’invasione dell’Ucraina un anno fa, è andata scemando.

Che esito stanno avendo? La batteria di sanzioni messe in campo è davvero impressionante. Ne cito alcune, in primo luogo quelle finanziarie: metà delle riserve valutarie ufficiali russe sono divenute inutilizzabili, le banche russe sono state tagliate fuori dalla piattaforma internazionale dei pagamenti fra banche, quindi non hanno più potuto operare fuori dei confini nazionali. Poi quelle economiche: buona parte delle esportazioni verso la Russia sono state vietate, sicché, oltre ai beni di consumo spariti dagli scaffali dei supermercati russi, le imprese di quel Paese non hanno potuto più approvvigionarsi di molte componenti e parti di ricambio e hanno dovuto bloccare o ridurre la loro produzione. Infine quelle personali: persone fisiche di particolare rilevanza come gli oligarchi e gli alti funzionari non hanno potuto più viaggiare all’estero e i loro beni fuori della Russia sono stati sequestrati.

Il primo obiettivo era quello di causare una immediata «crisi dei pagamenti» della Russia che rendesse subito difficile finanziare la guerra in Ucraina. Il secondo, di più lungo termine ma non poi così lungo, era quello di assestare un colpo gravissimo all’apparato produttivo russo, per sventare altre avventure militari. Dietro questi obiettivi si cela un cambiamento di paradigma nella concezione dell’esercizio del potere geopolitico da parte dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti d’America. Quel potere è stato incontrastato per trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica, ma si è ridotta la voglia di usare la forza militare dopo le disavventure iraqena e afgana, si è rafforzata l’idea di sostituire le armi di metallo con quelle impalpabili della finanza e dell’economia, ricorrendo pertanto allo strumento delle sanzioni.

Sanzioni economiche e finanziarie erano già state applicate contro Paesi che conculcavano i diritti umani, come l’Iran e il Venezuela. Ma ora si tratta di fiaccare fin quasi alla distruzione (o fino al crollo del regime attualmente al potere) un’economia che è nella top-10 del mondo, un’economia grande e potente nonostante i suoi innumerevoli difetti che la rendono certamente inferiore a quelle di molti Paesi occidentali, un Paese immenso, pieno di risorse naturali di cui il resto del mondo è ghiotto. I Paesi che hanno imposto le sanzioni alla Russia hanno allora il problema di cogliere al tempo stesso due obiettivi contrastanti: da un lato infliggere alla Russia il massimo danno economico, dall’altro non comprimere troppo le forniture di fonti di energia russe, su cui l’Europa, e la Germania in particolare, hanno fatto molto conto fino allo scoppio della guerra. Si è quindi sviluppato un sottilissimo gioco di strategia fra due fronti aspramente contrapposti, entrambi sempre pronti a dichiararsi pubblicamente astiosa ostilità, ma legati da un’oggettiva coincidenza d’interessi economici: quello di molti Paesi occidentali a non dover azzerare da subito la dipendenza dal gas e dal petrolio russi, con inevitabili sofferenze per le proprie cittadinanze, e quello russo di continuare a esportare almeno in parte in Occidente le proprie fonti di energia per ricavarne risorse finanziarie, scarseggianti a causa delle sanzioni.

Senza contare la globalizzazione: tutte le economie del mondo sono oggi tremendamente interconnesse, si scambiano materie di base (materie prime e fonti di energia), ma anche semilavorati e servizi intangibili, in una misura mai vista prima nella storia, al punto che molte imprese e a volte intere economie sono dipendenti da questi scambi e possono crollare se essi cessano improvvisamente senza che vi sia il tempo di trovare succedanei o sostituti.

Ecco perché la «guerra delle sanzioni» non si è risolta subito con una schiacciante vittoria occidentale, ma prosegue, causando alla Russia ingenti danni ma non provocandone (ancora) il totale collasso, e proseguirà per almeno altri 2-3 anni. C’è un ingente divario temporale fra l’applicazione di sanzioni pur così su larga scala e il loro esito finale. C’è un insanabile contrasto fra l’esigenza di sconfiggere l’avversario il più presto possibile (anche per arrestare il carico di sangue che la guerra guerreggiata porta con sé) e il tempo lungo occorrente perché le sanzioni economiche esplichino tutto il loro effetto. Soprattutto se poi non vengono applicate da tutto il resto del mondo: numerosi paesi, in cui si produce il 40 per cento del PIL mondiale, sono rimasti alla finestra e magari hanno approfittato della situazione per intensificare i loro commerci con la Russia da una posizione di vantaggio.

Insomma non si poteva pretendere che le sanzioni, per quanto gravi, prendessero il posto delle armi. Queste, purtroppo, continuano a portare il loro carico di morte e distruzione.

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