Dopo lo smartworking e la Great Resignation, una nuova parola chiave accende il dibattito sul mondo del lavoro: il #Quietquitting o Abbandono Silenzioso.
Comportamenti sul lavoro che parlano di adattamenti al malessere e ad alcune pseudo strategie (inconsce) di possibile fronteggiamento sociale. Sono persone, giovani e adulti, rassegnati che non si dimettono perché pensano che non troverebbero un posto di lavoro migliore di quello in cui sono. Secondo l’Harvard Business Review, riguarda la capacità dei dirigenti di costruire un rapporto con i collaboratori che non li induca a non vedere l’ora di uscire dall’ufficio.
Cercano uno scopo nel lavoro che li faccia sentire coinvolti appieno. E vivono in modo rassegnato, fanno il minimo indispensabile e poi si dedicano ad altri aspetti della vita privata in cui ritengono sia importante ricercare benessere ed equilibrio. E in parte hanno ragione, se l’azienda in cui sono non tutela i loro bisogni di armonizzazione tra ambiti della vita.
Ma come fanno le imprese a farsi carico di questi bisogni? Analizzando le necessità degli orari di produzione e introducendo nuove forme di organizzazione del lavoro e dei turni, più funzionali alle esigenze del mercato e dell’impresa e dall’altro più rispondenti ai bisogni dei dipendenti. Spesso, però l’insoddisfazione nasce anche dalla mancanza di ascolto rispetto ai bisogni di crescita e di scopo nelle organizzazioni. Lo spiega bene Veltroni qualche giorno fa nella classifica delle cinquecento persone più ricche del pianeta, stilata da Bloomberg, a proposito della constatazione che Ferrero cresce e Zuckerberg perde, condividendo parte del suo regolamento aziendale scritto per i propri dirigenti più di quarant’anni fa.
1 - Nei vostri contatti mettete i vostri collaboratori a loro agio: dedicate loro il tempo necessario e non le «briciole»; preoccupatevi di ascoltare ciò che hanno da dirvi; non date loro l’impressione che siate sulle spine; non fateli mai sentire «piccoli»; la sedia più comoda del vostro ufficio sia destinata a loro.
2 - Prendete decisioni chiare e fatevi aiutare dai vostri collaboratori, essi crederanno nelle scelte a cui hanno concorso.
E poi proseguiva con regole che sembravano valori: non prendete mai decisioni sotto l’influsso dell’ira, della premura, della delusione, della preoccupazione, ma demandatele a quando il vostro giudizio potrà essere più sereno; ricordate che un buon capo può far sentire un gigante un uomo normale, ma un capo cattivo può trasformare un gigante in un nano; se non credete in questi principi, rinunciate ad essere capi.
Capita sempre più spesso, infatti, a seguito delle lettere di dimissioni - in Italia per la grande maggioranza dei casi si manifestano ancora sotto forma di rassegnazione, che i capi propongano ai propri collaboratori nuove possibilità di crescita e benefit per trattenerli e per recuperare la loro motivazione, quando ormai è troppo tardi. Troppi muri di gomma hanno respinto o ignorato le loro richieste e proposte, troppo anonimato è circolato senza dare un’anima al lavoro e alle persone bisognose di riconoscimento e di offrire il proprio prezioso contributo. Governare e gestire il cambiamento è possibile e richiede consapevolezza e impegno prima di tutto su se stessi.