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Dopo la sconfitta il Pd recuperi la tradizione della socialdemocrazia

Dopo la sconfitta il Pd recuperi la tradizione della socialdemocrazia

 
Claudio Martelli

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Claudio Martelli

Dopo la sconfitta il Pd recuperi la tradizione della socialdemocrazia

Il risultato è stato quello di una successione di scissioni: di Bersani e Speranza quando comandava Renzi, di Renzi e Calenda quando comandava Zingaretti

Venerdì 30 Settembre 2022, 14:48

«Fallisci nel prepararti e ti preparerai al fallimento»: il monito del leader dei laburisti britannici Keir Starmer è rivolto al suo partito ma vale anche per il PD. Azzannato dalla lupa di Roma, Letta con gli occhi di tigre ha annunciato il congresso e subito, prima delle idee, sono spuntate le candidature. Ha cominciato l’ex sottosegretaria Paola De Micheli, e lo spoglio delle schede non era terminato.

Altri nomi li hanno lanciati i conduttori televisivi dalle cattedre dei talk show.

La sinistra del partito, corrente minoritaria, di candidati ne ha due: Andrea Orlando e Beppe Provenzano. Poi c’è il caso della vice presidente della Regione Emilia Romagna Elly Schlein, giovane non iscritta, dietro la quale si sospettano nobili padrini o nonnini - forse lo stesso Romano Prodi orfano di Letta e stanco delle Sardine.

I veri aspiranti per ora fanno melina e in attesa del non gratuito patrocinio dei grandi elettori capi corrente si fanno segnalare dagli amici giornalisti o da nuovi zelanti adepti che gareggiano per il titolo di primo dichiarante. Stefano Bonaccini accorto presidente dell’Emilia Romagna vuole un congresso di «rigenerazione». La parola equivale a rinascita, rifondazione, ma in bocca a un amministratore evoca gli interventi di risanamento e riqualificazione di strade e città.

Senonché il cemento su cui si costruisce un partito e che lo tiene insieme è fatto di altri materiali: è impastato di ideali e interessi, di sentimenti e di tradizioni, di lotte politiche, sociali, culturali senza le quali non c’è speranza e non c’è forza.

Per ora i capi corrente tenendo le carte coperte studiano le mosse e le alleanze possibili, sondano sindaci e governatori per assicurarsene l’appoggio al momento della conta. I sindaci del PD – tanti, tantissimi - e i governatori regionali - pochi pochissimi - eletti direttamente dal popolo godono di autorità e potere ma finora si sono sottomessi alla disciplina delle correnti. È tempo di uscire da queste gabbie e di rovesciare il modello correntizio che ha imposto ai territori candidati al Parlamento scelti, spartiti e catapultati da Roma alle periferie.

Anche questo ha pesato nel determinare la sconfitta.

Nella sua breve e tormentata esistenza il PD aveva introdotto nella vita interna un criterio – le primarie – per scegliere i candidati a competere nelle elezioni politiche, regionali e comunali.

Era un modello nuovo, democratico che promuoveva la partecipazione degli iscritti e degli elettori. Invece, col passare degli anni, le primarie sono state limitate, dismesse e sacrificate sullo sconsacrato altare delle spartizioni correntizie. A primavera ci sarà un’importante tornata elettorale, è tempo di invertire la rotta e di restaurare e rinverdire le primarie nella loro pienezza e di reclamarne l’applicazione puntuale anziché farsi imporre le scelte dal centro, dal vertice correntizio.

La costanza della vita democratica di un partito è sostanza e parte non secondaria della sua identità, della sua carta di valori, del suo statuto. A proposito di identità: sempre più spesso nel passato recente e in modo ormai angoscioso e impaziente dopo la sconfitta l’identità del PD fissata da Veltroni nel congresso fondativo del 2008 viene revocata in dubbio. Nato dalla fusione tra parte del vecchio PCI e la sinistra DC ad ogni diversa stagione politica il PD ha cambiato segretario e visto prevalere l’uno o l’altro indirizzo dei due soci fondatori.

Il risultato è stato quello di una successione di scissioni: di Bersani e Speranza quando comandava Renzi, di Renzi e Calenda quando comandava Zingaretti.

Segno inconfutabile di un amalgama non riuscito. Come immaginare di cambiare verso senza ancorarsi a un fondamento più solido di questo, un fondamento indipendente dall’alleato di turno? Emanuele Fiano dirigente e parlamentare milanese del PD dopo la sconfitta ha scritto: «Abbiamo alle spalle un secolo e mezzo di storia e di conquiste del movimento socialdemocratico dei lavoratori; non ci dovrebbe risultare difficile sapere da dove ripartire. Naturalmente a patto di riconoscersi in quella storia».

Se il PD privo di questo fondamento si avventurasse in alleanze vuoi con i 5 Stelle, vuoi con Renzi e Calenda sarebbe destinato a subire nuove traumatiche lacerazioni.

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