Scusate, ma che significa Udine messa a ferro e fuoco solo perché la nazionale di calcio di Israele ci giocava contro l’Italia? È vero che non si possono dimenticare dopo qualche giorno le colpe di Israele a Gaza (come non si può dimenticare lo sterminio del 7 ottobre contro Israele). Ma qualche informazione deve essere mancata agli sfascia-città. Nessuno deve avergli detto che tutto il mondo ormai parla di pace, anche se è solo una tregua, anche se è solo un armistizio. Nessuno deve avergli detto che mezzo di quel mondo era in Egitto a firmare l’accordo. Nessuno deve avergli detto che il mondo ormai sta già pensando al dopo. E che non ha nessuna intenzione di disturbare il guidatore.
Allora gli sfascia-città sono sfascia-città a prescindere. E lo avrebbero fatto a Udine o altrove non per amore di pace (e dintorni) ma perché così si fa quando comunque è in campo (non solo calcistico) Israele. O è in campo l’Occidente.
Allora la pace, o la tregua, o l’armistizio c’entrano con Udine come un timballo a colazione. Allora il pacifismo c’entra come una pelliccia a Ferragosto. Allora chiamiamolo con la parola giusta: ideologia. Una retorica che all’occorrenza è pronta a diventare odio. Paradossale ma un agguato delle coincidenze è stata la Marcia per la pace ad Assisi, con tantissimi sinceramente e umanamente addolorati. Che la cosiddetta pace si stesse facendo proprio allora, tanto meglio. E del resto di pace non si deve essere mai stanchi di parlare perché la pace è una costruzione continua.
Ma un agguato delle date è anche quello in cui è incorsa la sinistra moderata o no italiana. Una legittima opposizione che con la Schlein alla testa attaccava il governo per il mancato sì allo Stato di Palestina. Magari involontario paradosso proprio mentre la Meloni era a Sharm a firmarla quella pace tanto agognata da essere invocata proprio mentre la si faceva. Più precauzionale sarebbe stato riconoscerlo.
Fuori luogo è chi ha ricordato in questi frangenti quanto molti anni fa diceva quel cane sciolto di Pannella: la sinistra si ricorda dei palestinesi solo quando incontrano una pallottola israeliana. Battuta corrosiva ma rivelatrice di militanza. E allora i cortei in gran parte giovanili dei giorni scorsi, più necessari che opportuni, anzi necessari e opportuni. Con annesso sciopero generale e lavoratori in campo, perché il lavoro è il primo patrimonio di questo Paese che su di esso si regge e non solo per Costituzione. Con annesso rituale di università occupate. Con annessi assalti alla polizia che faceva il suo mestiere di garantire pace anche ai pacifisti. E con annesso grido «sfasciamo tutto» col quale il pacifismo di molti si è smascherato, appunto, in faziosità. Oltre che in sfascismo.
Su questi giovani che si riteneva strappati ai loro cellulari sono risuonate glorificazioni di tanti maestri del pensiero. Sono diversi, allora, da come li immaginavamo. Non stanno lì apatici e indifferenti a tutto e a tutti, se non a TikTok e a Instagram. Sono non solo capaci di mobilitarsi per le cause sacrosante ma anche di mobilitare tutti gli altri. Di mobilitare una generazione dai capelli bianchi, una generazione ultimo avanzo del Novecento da spazzare. Sono la salvezza del mondo.
Sono il futuro premium e non discount. Una Gen Z, generazione zeta (la più giovane in giro) lodata e da ascoltare sempre come garanzia contro i rigurgiti di un secolo capace solo di guerre. Ma allora la domanda è come mai questa Generazione Gaza non sia stata anche l’indignata Generazione Ucraina. O l’indignata Generazione 7 ottobre.
Le piazze sono da ringraziare e non disprezzare. Ma non sono una novità, come non lo sono state quelle di Occupy Wall Street contro la dittatura della finanza, quelle di Next Future per salvare il clima del mondo, quelle del G7 di Genova contro i Grandi dominatori della Terra. Quelle, figuriamoci, in onore dei Martiri di Kindu, o per Nassirya. Piazze da ringraziare finché non diventano funzionali, Finché la richiesta di pace e di giustizia non sia presbite. E finché il profetismo delle piazze capace di vedere al di là non vede solo dove vuol vedere. La stessa vista poco innocente che ha gonfiato tante vele delle flottiglie. Come le piazze animate (e innescate) solo contro l’imperialismo, lo sfruttamento, il capitalismo, la democrazia liberale. Guarda caso quella democrazia decomposta e purulenta, quel Novecento morente che consentono loro di esistere.
I giovani vivono tempi non più di altri tempi. Come sempre, del resto. Figuriamoci ora, tra Intelligenza naturale e Intelligenza artificiale. Dall’analogico al digitale. Altra storia. Ma proprio per questo le piazze non avrebbero dovuto raccontarci la solita storia.