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Ma perché lo Stato non usa più la lingua italiana?

 
Vinicio Aquaro

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Vinicio Aquaro

Ma perché lo Stato non usa più la lingua italiana?

Ma perché l’Italia ufficiale deve favorire e scegliere l’incomprensione e l’incomunicabilità?

Martedì 30 Agosto 2022, 14:16

Il ministero della Salute, o chi per esso, sta ora occupando la scena non certo per le soluzioni sanitarie univocamente offerte agli italiani, ma per gli anglismi e gli esterismi usati nelle circolari e che hanno scosso finanche la buona salute dell’Accademia della Crusca. E così abbiamo in Italia un ammalato in più, l’Accademia.

Ma perché l’Italia ufficiale deve favorire e scegliere l’incomprensione e l’incomunicabilità? Una democrazia che non è chiara e comprensibile nel linguaggio comunicativo è già deficitaria, perciò lontana dal dialogo e dalla condivisione. Si è ancora nell’eco settecentesca del dantesco anno e mezzo (2021-2022) senza che si sia capito, almeno nelle sfere decisionali, che Dante è padre della lingua italiana; lingua nella quale un popolo intero si esprime con pienezza di valori e con potenza di genialità.

Così difficile è abituare lo Stato italiano all’uso dell’italiano? Con gli anglismi possiamo mai avere l’unità italiana? Nemmeno quella europea può essere pienamente possibile proprio perché la stessa Inghilterra ha scelto di uscire dall’europeismo.

È questo il grande problema della storia dei popoli. È mai possibile infatti che tutti parlino, discutano e scrivano di storia e con sconcertante rarità accada di leggere, di ascoltare e di poter condividere il senso educativo della storia? Spesso siamo solo sportivi della storia. Sportivi alla maniera del lunedì quando sappiamo i risultati del giorno prima e li esterniamo con scontate diagnosi e previsioni. Questo è il passato letto al presente, ma come futuro. Siamo quindi un po' tutti rassegnatori e profeti. Profetizziamo il passato e in questa maniera facciamo il futurismo che non teme smentita perché già predisposto dal narratore che antepone, innaturalmente, il futuro al passato.

Che si debba migliorare e quindi spesso correggersi è assolutamente vero, ma i tempi biologici perché l’esistente favorisca la presa d’atto e legittimi la revisione è incontrovertibile. Il giorno dopo sconfessa il giorno prima usurpando il merito di un rapido revisionismo in tali micro-tempi soltanto assurdo e folle significa esplicitare la propria indisponibilità a capire e risolvere i problemi personali prima ancora che quelli socio-comunitari.

La storia così impostata, cioè la storia senza scientificità, è il legno di galleggiamento di quanti richiamano la storia senza conoscerne la navigabilità cioè la sostanziale valenza e confidando in altrettanta condivisione poco cosciente degli altri. Ascolto e leggo assurdità del genere, che sarebbero amenità finanche piacevoli se non trasmigrassero nella fattualità politica ingenerando rischio sociale e diffuso degrado.

Può esserci anche il peggio. Non conoscere e non rispettare la storia può azzerare le positività costringendo a ripetere le tragiche erranze del passato. Questa non è preoccupazione, è già disastro sociale effettivo. I nulla-sapienti di un europeismo di facciata che viene proclamato e preteso come obbligatorio e dogmatico in una Europa che non riconosce come ebraico-cristiane le sue stesse origini, o non sanno o non vogliono sapere che l’Europa, quella seria e giusta, è stata intuita, ragionata e impostata da tre grandi cattolici europei. Dall’italiano Ancide De Gasperi ora in processo di canonizzazione, dal francese Robert Schuman anch’egli ora in processo di canonizzazione e dal tedesco Conrad Adenauer. Tre personaggi enormi della cristianità e della democrazia europea.

L’europeismo piazzaiolo di oggi, quello forse in offerta speciale, ci vuol far credere che ancora siamo al punto zero. Purtroppo invece a zero molti sono con la storia.

La voce di Comunione e Liberazione a Rimini è stata grande ammonimento e forte speranza!

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