Non bastasse la novità di una campagna elettorale in piena estate (prima assoluta per l’Italia), e in attesa che i partiti definiscano i loro programmi (fin qui, a parte qualche lodevole eccezione, solo molte chiacchiere e tante promesse da spiaggia), ecco che l’economia reale si fa viva con numeri e risultati per molti versi inaspettati. E con proiezioni che confermano lo spessore dei problemi cui andranno incontro famiglie e imprese.
Il primo dato riguarda l’accelerazione del Prodotto interno lordo (Pil) che misura la nostra ricchezza nazionale. Nel secondo trimestre del 2022, secondo l’Istat, questo è cresciuto dell’1% rispetto al trimestre precedente, quando era salito del solo 0,1%. Nei mesi scorsi, diverse previsioni facevano temere il peggio, fino al punto di immaginare la discesa dell’Italia nella recessione tecnica – quella in cui è appena scivolata l’economia americana- con due trimestri consecutivi sotto lo zero. Non è andata così. Al contrario è andata bene: il Pil ha segnato così alla fine di giugno un rotondo +4,6% in termini tendenziali annuali e, soprattutto, possiamo mettere agli atti che la crescita acquisita per il 2022, cioè quella che si registrerebbe se nei restanti due trimestri dell’anno la crescita fosse pari a zero, è oggi pari a +3,4%, superiore al 2,6% proiettato dopo i risultati del primo trimestre e superiore alle stesse previsioni, intorno al 3%, del governo Draghi.
L’esecutivo paradossalmente appena «licenziato» dal Parlamento dopo che era venuta meno la fiducia di 5Stelle, Lega e Forza Italia.
Certo, va anche detto che questo buon risultato è frutto del conto finale che vede la diminuzione della crescita nei campi dell’agricoltura, della pesca e della silvicoltura e dell’aumento del valore aggiunto nell’industria e nei servizi. Ma è un fatto che l’Italia conferma la sua solida posizione di seconda potenza industriale in Europa alle spalle della Germania. Non solo. Come notato dal Ministero dell’Economia, «può dirsi completato il recupero dalla crisi causata dalla pandemia». Il che vuol dire che abbiamo (finalmente) superato i livelli del 2019, i quali a loro volta non avevano però ancora recuperato quelli della tempesta scatenatasi nel 2008, a testimonianza di quanto rimane impegnativo il percorso dell’Italia sul sentiero dello sviluppo.
Infine, altro elemento da valutare, il dato che l’eurozona segna in media uno scarno +0,7 e che sono l’Italia, la Spagna (che segna un tendenziale di crescita a +6,3%) e la Francia a guidare il fronte della crescita. Mentre la Germania, con 0,0%, è in stallo e teme di scivolare sotto lo zero, verso la recessione. Che per noi non sarebbe una buona notizia, vista la stretta interdipendenza produttiva che lega i due Paesi.
Quanto all’inflazione tendenziale, il dato di luglio indica +7,9%, vale a dire un decimo di punto in meno rispetto al +8% record di giugno. Un piccolo ripiegamento a fronte di un aumento dello 0,4% dell’indice dei prezzi al consumo mentre si evidenziano le flessioni dei prezzi dei beni energetici (in particolare quelli regolamentati, grazie alla manovra del governo per raffreddare i costi delle bollette, che scendono dal +64,3% di giugno al +47,8% di luglio).
Ma è evidente che in questo caso restiamo in emergenza. L’inflazione cosiddetta «di fondo», al netto di beni energetici e alimentari freschi accelera ancora da +3,8% a +4,1% e quella al netto dei soli energetici da +4,2% a +4,7%. E soprattutto corrono veloci i prezzi del «carrello della spesa» – beni alimentari, per la cura della persona e della casa e prodotti ad alta frequenza d’acquisto- che raggiungono quota +9,1%, un aumento che ci riporta al lontanissimo 1984. A questi livelli, solo per mangiare, commenta l’Intesa dei consumatori, una famiglia spende 749 euro in più all’anno.
È chiaro che i temi del recupero del potere d’acquisto delle famiglie ed il sostegno delle imprese restano i punti fermi dell’azione di governo, pur in carica per la sola ordinaria amministrazione. I buoni risultati raggiunti sul terreno crescita spingono anzi Draghi ad accrescere l’impegno su tutti i fronti, a partire dall’inflazione, dal contenimento dei costi energetici, a loro volta legati alla politica per rompere la dipendenza dal gas russo, e dalla realizzazione del Pnrr. È sperabile che la campagna elettorale corra sui binari del realismo, con senso di responsabilità e proposte tanto puntuali quanto sostenibili. Diversamente, sarebbe un nuovo tuffo all’indietro.