Confesso con un po’ di vergogna di aver preso il mio primo aereo solo a ventiquattro anni. Avvenne allorquando la Rai, per la quale conducevo un programma radiofonico su Radio2 con Ambra Angiolini, ci mandò al festival di Sanremo a fare una diretta. Era il 2001. Feci l’intero viaggio in ansiosa apprensione, e con l’orribile presentimento che l’aereo sarebbe caduto. La curatrice del programma mi teneva stretta la mano, e rideva divertita della mia disarmante paura. Quando atterrammo a Nizza mi sentii sollevato, e mi venne quasi di baciare a terra in segno di ringraziamento. Non ero ancora laureato, e di soldi da spendere ne avevo sempre avuto pochi. Prendere l’aereo era un lusso che non mi potevo permettere.
Ho ripensato a quel mio primo viaggio quando sono venuto a conoscenza del forte rilancio che sta avvenendo degli aeroporti pugliesi. È una notizia bellissima, perché non è vero che il mondo è tutto uguale: lo è solo in apparenza, e solo in superficie. Quando noi diciamo che “tutto il mondo è paese” un po’ diciamo una cosa vera, un po’ alimentiamo la nostra pigrizia e il nostro provincialismo. Non che viaggiare sia in assoluto un modo per sprovincializzarsi – quanti viaggi esibiti su Facebook sono soltanto vacanze pacchiane fatte esclusivamente per vantarsi di averle fatte? – ma viaggiare aiuta a rendersi concretamente conto della grandezza del mondo, delle diversità, aiuta a mettersi in discussione, insegna molte cose, aumenta le curiosità, riduce le autoreferenzialità e scalfisce la nostra vocazione municipalista.
C’è chi dice che la conoscenza sia esplorare sempre nuovi mondi e chi, più pensosamente, che la conoscenza vera sia occuparsi di una sola cosa, di qualcosa di circoscritto da indagare a fondo. Non ho idee certe, anche perché ho conosciuto provinciali che viaggiavano tantissimo e cosmopoliti che non viaggiavano mai. Ma in generale mi sono sempre trovato peggio con chi aveva poca esperienza di mondo – con chi, insomma, aveva orizzonti ristretti.
Fino a trent’anni fa viaggiare in aereo era privilegio di pochi. Tutta l’emigrazione di noi meridionali in Svizzera, Germania, Belgio e Francia è avvenuta, almeno fino ai primi anni ‘90, in macchina o in treno. Sono figlio di emigrati in Svizzera, e qualche anno fa ho chiesto a mio padre: «Ma perché noi non prendevamo mai l’aereo per tornare al Sud?» La risposta di mio padre fu severa: «Perché la mia generazione andava in Svizzera per provare a mettere qualcosa da parte, non come voi che tutto quello che guadagnate lo spendete. L’aereo era un lusso, un capriccio che non potevamo permetterci». Forse ho preso l’aereo in tarda età anche a causa di questo moralismo operaio, di questa rigida etica del risparmio che un tempo era molto radicata.
Se penso alla Puglia dei caratteristi cinematografici degli anni ‘70 mi rendo conto che questa terra meravigliosa ha fatto passi da gigante. Oggi la Puglia è sempre più connessa col mondo, e per andare nel mondo basta fare un check-in a Bari, a Brindisi o a Foggia. Certo, ci vogliono i soldi, ma oltre ai soldi bisogna avere una mentalità aperta, amici sparsi in tutto il mondo – e ovviamente se si conosce la lingua inglese tutto è più facile –, curiosità, voglia e umiltà di mettersi in gioco e coraggio di rischiare la messa in discussione delle proprie certezze. Nella mia vita ho viaggiato all’estero principalmente per lavoro, e ammetto che ancora oggi – e di cose ne ho fatte, nella mia vita – alla prenotazione di un viaggio all’estero preferisco ancora il più rassicurante ritorno in macchina al Sud, magari al paese dove sono cresciuto. Spero che i miei figli si sentiranno più di me a loro agio ad andare all’estero, a godere gli aspetti più belli ed entusiasmanti della globalizzazione.
Tutto il discorso sull’identità, sulle radici, sulla tradizione – e davvero la Puglia ha reso tutto questo di raffinata fruibilità internazionale – diventa lieve e non opprimente se, appunto, la Puglia accresce le sue connessioni con il mondo. Altrimenti si torna ai cerchi soffocanti delle appartenenze e dei riti inderogabili, dei moralismi e delle rassicuranti abitudini folcloristiche e macchiettistiche.
La Puglia non deve sentirsi in colpa se contamina la sua storia con la modernità. Pandemie, crisi economiche e guerre potrebbero convincerci che bisogna nascondersi, mettersi al sicuro, chiudersi in qualche piccola patria della mente. E invece no, non bisogna farsi tentare. Al contrario, bisogna muoversi, partire, rischiare, tornare, contaminarsi, aprirsi. Senza rinnegare niente, ci mancherebbe. Ma la Puglia migliore è quella che non rinnega le solide radici del passato e, al contempo, non nega la fluidità del mondo: la Puglia, insomma, che sale su un aereo e porta il proprio estro specifico in ogni angolo del pianeta.