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L'Europa torni a coltivare la «politica di potenza»

 
Mario Ricciardi

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Sottovalutata la grave mossa di Putin da parte dei leader. Ora il problema è quello di avere anche un peso strategico e una capacità di deterrenza

Sabato 26 Febbraio 2022, 13:39

13:40

Inizia oggi la collaborazione con la «Gazzetta» di Mario Ricciardi, ordinario di Filosofia del Diritto all’università Statale di Milano e direttore della rivista «Il Mulino»

Mentre assistiamo, con rabbia e sgomento, all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, tornano alla mente le riflessioni di Raymond Aron: «In Europa, qualsiasi operazione militare, minore o di rilevanti proporzioni, comporta rischi immensi, perché la posta, una volta cominciate le ostilità, sarebbe enorme». Lo studioso francese scriveva queste parole nel 1965, tre anni dopo la crisi provocata dal dispiegamento dei missili sovietici a Cuba. A quel tempo il confronto tra i blocchi si stava assestando su una sorta di stabilità favorita dalle rispettive capacità militari e dottrine strategiche dei contendenti, che rendevano la prospettiva di una guerra possibile, ma non probabile. Ciò, ovviamente, non garantiva affatto la pace nel mondo - basta ricordare il sanguinoso conflitto in Vietnam, o più tardi quello in Afghanistan – ma preveniva uno scontro diretto tra la Nato e il Patto di Varsavia. Quello della «guerra fredda» era un mondo molto diverso da quello odierno. Non migliore, ma caratterizzato da una certa prevedibilità. Ciascuna delle due alleanze aveva una ideologia di riferimento, e una certa costanza di obiettivi strategici, di cui il mantenimento della pace armata in Europa era una parte essenziale.

Dopo il 1989 le cose sono cambiate in maniera drammatica: l’Unione Sovietica si è sfaldata, travolta dal collasso del regime comunista, il Patto di Varsavia si è sciolto, e ciò ha lasciato in campo gli Stati Uniti come potenza militare maggiore del pianeta e la Nato come l’alleanza strategica egemone sul continente europeo. Questo ha alimentato il risentimento di settori importanti della società russa, che hanno negli ultimi decenni trovato in Vladimir Putin il proprio punto di riferimento. L’evoluzione del sistema politico moscovita nella direzione di un regime autoritario guidato da un autocrate ha reso questa tendenza sempre più pericolosa con il passare del tempo. La carta dell’orgoglio nazionale è da sempre l’asso nella manica dei novelli Bonaparte, che difficilmente resistono alla tentazione di rinsaldare sul campo di battaglia il consenso che probabilmente non riuscirebbero a conservare se si sottoponessero al giudizio dei cittadini nel corso di libere ed eque elezioni. Putin ha già giocato questa carta in passato, e ha deciso di farlo nuovamente oggi con l’invasione dell’Ucraina.

La probabilità che si giungesse a una mossa così grave è stata sottovalutata da buona parte dei leader europei (nonostante fosse prevedibile, come ha spiegato Rob Lee, analista del «Foreign Policy Research Institute», in un pezzo pubblicato alla fine di gennaio). Oggi quegli stessi leader sembrano incapaci di fare fino in fondo i conti con le conseguenze di un conflitto che potrebbe modificare in maniera profonda gli equilibri militari, politici ed economici del continente. A differenza degli Stati Uniti (e anche del Regno Unito) gli europei hanno rimosso dalla propria cultura pubblica la realtà della politica di potenza. L’uso della forza derubricato, quando non se ne può fare a meno, a operazione di «polizia internazionale» o di «intervento umanitario». Ma il ricorso all’ipocrisia può alimentare l’autoillusione, difficilmente incidere sulla realtà dei conflitti, specie quando dall’altra parte c’è un individuo disposto a rischiare moltissimo per mantenere il proprio potere.

Al netto degli appelli all’unità e delle manifestazioni in cui ci si ammanta della bandiera Ucraina è questo il senso ultimo della sfida lanciata da Putin all’Europa: l’ipotesi della «fine della storia» su cui si reggeva il modello dell’Unione Europea (gigante economico, ma nano politico) è stata clamorosamente smentita dall’ultimo ventennio. Oggi l’Europa deve porsi seriamente il problema di avere anche un peso strategico e una capacità di deterrenza. Un obiettivo che rimane fuori dalla portata di un’associazione che si regge sulla finzione della parità formale dei soci.

Sempre Aron ci ammoniva negli anni Sessanta che la teoria della dissuasione mette alle prese due strateghi ideali, ma poi in una crisi reale sono due esseri umani a confrontarsi. In questo momento Putin sa di avere di fronte non un interlocutore, ma i portavoce di un compromesso instabile tra interessi nazionali che potrebbe facilmente entrare in crisi se il costo di difendere l’Ucraina diventasse per alcuni dei partner troppo alto. Ciò gli ha dato la sicurezza di cui aveva bisogno per l’azzardo di queste ore. Speriamo che questa sia un’occasione per gli europei per cominciare finalmente a prendere coscienza della realtà del mondo post 1989. Sarebbe davvero una tragedia se scoprissimo che l’unica cosa che abbiamo appreso in queste ore è quali sono i colori della bandiera Ucraina.

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