Giacomo Mauro D’Ariano rappresenta una delle ricchezze nascoste del nostro Paese. È uno dei fisici più famosi al mondo, l’anno scorso ha vinto l’International Quantum Award 2022, il Premio internazionale che è l’anticamera del Nobel. Glielo hanno attribuito per le sue straordinarie scoperte sulla meccanica quantistica e sulla teoria quantistica dell’informazione. Un genio, praticamente sconosciuto in patria. Ha 68 anni vive e lavora a Pavia, docente di Meccanica Quantistica all’Università degli Studi. È l’interlocutore giusto per capire meglio cos’è la fisica quantistica.
Partiamo nel dire che cosa non è. Oggi molti parlano di computer quantistici come macchine dalla potenza esorbitante. È così?
«No, sono computer che velocizzano notevolmente solo calcoli molto particolari, che però riguardano la nostra sicurezza informatica, ma non significa che facciano altre cose mirabolanti che il computer classico non possa fare».
Che cosa non capiamo quando parliamo di fisica quantistica?
«Siamo abituati a ragionare secondo la fisica classica, che riguarda le cose tangibili, mentre quella quantistica ha un’altra dimensione. Non è come una palla di bigliardo che va in buca, ed è davvero difficile da spiegare in una chiacchierata, perché esce dai nostri schemi mentali e genera nuovi problemi».
Eppure lei è stato il primo a scoprire certe verità. Cosa, in particolare?
«Ultimamente si parla della possibilità che la teoria quantistica possa descrivere la nostra esperienza intima, in quanto non condivisibile come l’informazione quantistica, la quale non è clonabile ed unica. La nostra esperienza è fatta di “qualia”, che non sono condivisibili, come il colore. Ad esempio, io non posso sapere se il colore verde che vedo è lo stesso colore che vede un’altra persona. E questo vale per i pensieri: per quanto possa conoscere una persona non saprò mai cosa sta pensando».
La differenza fra fisica classica e quantistica è una questione di bit?
«Nella teoria dell’informazione classica ci sono due possibili valori, i valori del bit, 0 o 1. In quella quantistica si ha un “qubit” che può avere infinite direzioni corrispondenti ai diametri di una palla. Mentre nel caso classico può essere solo “testa” o “croce”, nel caso quantistico la “moneta” può essere lanciata in tutte le possibili infinite direzioni corrispondenti agli assi di una palla: verticale, orizzontale, oblique a mia scelta. La faccia della moneta è comunque casuale: il risultato non è deterministico. La teoria quantistica ha una sua logica intrinseca che molti non hanno ancora capito, e che è di gran lunga superiore rispetto alla teoria classica».
Perché dovrebbe essere superiore?
«Perché il risultato viene generato in un vero “atto di creazione”, e non può essere predetto in linea di principio, e non per mancanza di conoscenza. E questo è molto importante concettualmente: la teoria quantistica prevede che il risultato della misura sia veramente un “atto di creazione dal nulla”, e che non sia la lettura di qualcosa di preesistente che non conosco. Il mondo è fatto di creazioni dal nulla in autentico divenire. Come nel Panta Rei di Eraclito: tutto cambia, scorre, nulla sta fermo. Questo spiega la capacità di creare, che a sua volta dipende dalle domande che tu poni: anche tu sei parte del processo quantistico».
Eppure Einstein diceva che «Dio non gioca a dadi», possibile che potesse avere almeno parzialmente torto?
«Einstein ebbe un’intuizione geniale sulla relatività ristretta, benché altri ci stessero arrivando. Quella della relatività generale è un’idea grandiosa e confermata da molti esperimenti, secondo cui la gravità si può vedere come deformazione dello spazio, teoria che funziona con precisione mostruosa e tutto fa pensare che sia giusta; tuttavia non possiamo essere certi che non ci siano altre spiegazioni che alla fine portino allo stesso risultato. Il problema fondamentale, infatti, è che non si riesce a mettere d’accordo la teoria della relatività con quella quantistica. Dunque qualcosa sfuggiva ad Einstein, a cui non piaceva la meccanica quantistica».
Rischiamo pertanto di essere ingannati dalle nostre stesse convinzioni?
«Dobbiamo capire che esistono due realtà, quella fisica tradizionale e quella quantistica, quest’ultima non finisce mai di stupire. La teoria classica descrive tutto quello che posso vedere. La teoria quantistica descrive oggetti che non posso vedere, ma dei quali vedo gli effetti: ad esempio, mi rendo conto che l’evento A è collegato all’evento B, ma non posso vedere il collegamento, è come se fosse un fantasma. Il punto è che noi abbiamo cominciato ad accertare cose che non possiamo descrivere con la teoria classica».
Dunque la frase «ce lo dice la Scienza» ha poco senso...
«La Scienza è un percorso in divenire, e che ci ha permesso un numero notevole ma limitato di scoperte. Dobbiamo continuare a interrogarci. Con il mio gruppo di ricerca abbiamo dimostrato che si può vedere tutta la fisica come teoria dell’informazione; quel che vediamo è informazione, quel che non vediamo è informazione nascosta coerentemente con la fisica quantistica».
Lei crede all’Intelligenza artificiale?
«Assolutamente no, almeno per quello che si intende oggigiorno. La macchina non ha intelligenza, esegue funzioni pre-impostate, ma non comprende quel che “elabora”. Nemmeno un computer quantistico potrebbe avere la versatilità del nostro cervello. L’uomo crea dal nulla, il computer esegue. La casualità quantistica è un atto di creazione. Credo che oggi Einstein sarebbe molto arrabbiato perché aveva una visione deterministica e riteneva che il libero arbitrio non esistesse. Mentre, invece, è essenziale, ci rende unici, può renderci migliori».