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Cannes rapita da «Rapito»: Bellocchio fa centro ancora

 
Oscar Iarussi

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Oscar Iarussi

Cannes rapita da «Rapito»: Bellocchio fa centro ancora

Film in concorso, racconta la vicenda del bambino ebreo che, nella Bologna di metà ‘800, fu strappato alla famiglia dalla chiesa. Nel cast spiccano Fabrizio Gifuni e Barbara Ronchi. Da domani nelle sale

Mercoledì 24 Maggio 2023, 00:20

RAPITO di Marco Bellocchio. Interpreti e personaggi principali: Paolo Pierobon (papa Pio IX), Barbara Ronchi (madre di Edgardo), Fausto Russo Alesi (padre di Edgardo), Filippo Timi (cardinale Antonelli), Fabrizio Gifuni (padre Faletti), Enea Sala (Edgardo Mortara bambino), Leonardo Maltese (Edgardo Mortara da ragazzo). Storico-drammatico, liberamente ispirato a «Il caso Mortara» di Daniele Scalise (Mondadori), Italia, 2023. Durata: 135 minuti.

Quanto conta l’imponderabile, quanto il destino, con la violenza che talora subiamo, nella definizione dell’identità personale? E che delitti si possono commettere per rispondere a una chiamata superiore, a un battesimo di fede, a un’appartenenza assoluta, ma anche a un potere irremovibile persino nel proprio stesso declino. Sono le suggestioni di Rapito, il nuovo film dello splendido ottantenne Marco Bellocchio, presentato ieri in gara al Festival di Cannes (primo titolo dei tre concorrenti italiani) e da domani nelle sale distribuito da «01».

Del resto, il nostro grande regista è un habitué della Croisette dove nell’ultima edizione pre-Covid portò Il traditore sulla vita di Tommaso Buscetta, nel 2021 ottenne la Palma d’onore per Marx può aspettare e l’anno scorso presentò l’anteprima della serie tv Esterno notte sul caso Moro. Titoli parimenti memorabili e, diciamolo subito, Rapito non è da meno. Sceneggiato da Bellocchio con Susanna Nicchiarelli, lo scrittore Edoardo Albinati (premio Strega per La scuola cattolica, 2016) e Daniela Ceselli, il film ripercorre la vicenda di Edgardo Mortara, il bambino bolognese strappato alla sua famiglia ebrea nel 1858. Edgardo era il sesto degli otto figli del mercante Salomon «Momolo» Mortara e di Marianna Padovani, entrambi ebrei, che abitavano nel ghetto di Bologna. Fu sequestrato dall’autorità ecclesiastica e poi quasi «adottato» da Pio IX, il Papa Re accusato di antisemitismo. Sono gli anni che precedono l’Unità d’Italia e la città felsinea appartiene allo Stato Pontificio, dove vige l’Inquisizione guidata dal domenicano Pier Gaetano Feletti, interpretato da Fabrizio Gifuni con una misura ancora paradossalmente «morotea»: sempre più bravo!

Il piccolo Edgardo, sostengono i preti, sarebbe stato battezzato segretamente quando aveva solo sei mesi da una domestica cattolica della famiglia israelitica, perciò appartiene alla Chiesa. Donde la cattura ritenuta legittima e il caso dal clamore internazionale che ne conseguì, mentre il potere temporale del papa perdeva colpi fino all’esito della breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870. La vicenda, nell’arco di oltre un decennio, è raccontata anche dalla parte di Edgardo, che, crescendo, giocoforza «rinnega» i genitori e le origini, fino a diventare uno dei giovani sacerdoti più vicini e devoti a Pio IX.

Certo, il «tradimento» da sempre è una delle corde del cinema di Bellocchio, da I pugni in tasca a Nel nome del padre, da L’ora di religione a Il traditore... Come se solo l’abiura, la sconfessione, l’apostasia mettessero a nudo le contraddizioni di un organismo sociale o politico e consentissero di sottrarsi alla tirannia dello status quo. Per Bellocchio la rivolta coincide con una diserzione onirica dalla realtà, come nella famosa scena di Aldo Moro libero dal covo delle Brigate rosse in Buongiorno, notte. In Rapito è il Cristo che scende dalla Croce, depone la corona di spine e si allontana dall’altare sotto gli occhi sgomenti del bambino ebreo. Edgardo vuole ancora riabbracciare la mamma, il papà, i fratelli e le sorelle, ma presto dovrà ripudiarli per sopravvivere. È la visione carnale e mistica di un autore agnostico, sullo sfondo di un Paese in tumulto che ancora credeva in Dio, nella Patria, nella Chiesa e nella conversione ancorché forzosa. Altrettanto sorprendente è l’epilogo di questa storia che non a caso in anni recenti ha affascinato pure Steven Spielberg e che Bellocchio ha mandato a papa Francesco sperando possa vederla. «Non è un film contro la Chiesa», ha detto ieri a Cannes, sebbene vada ricordato che nel 2000 la beatificazione di Pio IX da parte di papa Wojtyla sollevò la protesta delle comunità ebraiche.

Sono perfetti il cast, in cui spicca l’indomabile mater dolorosa di Barbara Ronchi, e la ricostruzione scenografica. La fotografia di Francesco Di Giacomo e il montaggio di Francesca Calvelli completano un affresco d’epoca che è Ottocento ed è domani.

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