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Bari brucia d’amore per Massimo Ranieri

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Bari brucia d’amore per Massimo Ranieri

Camerata, l'evento al Petruzzelli

Lunedì 28 Novembre 2022, 10:53

C’è poco da fare, il palcoscenico è una malattia. Lo sa bene Massimo Ranieri che all’età di settantuno anni continua a calcarlo con passione, muovendosi sulle tavole con lo spirito di uno scugnizzo cresciuto, ma mai domo, sorta di Puck in versione partenopea, a ribadire anche i ruoli nei quali fu impegnato come attore allorché il grande Giorgio Strehler – al quale tutt’oggi dedica un ricordo grato e affettuoso – lo volle nel cast del del suo Piccolo Teatro di Milano, aprendogli la strada anche alla carriera teatrale. Ed è, quella di Massimo Ranieri, una vitalità che il pubblico percepisce immediatamente, che quasi pretende, come si è visto anche in un Petruzzelli da tutto esaurito per la data di «Tutti i sogni ancora in volo», che la Camerata barese ha proposto tra gli eventi straordinari della stagione da poco inaugurata.

Non un semplice concerto, ma un vero e proprio recital teatrale, con tanto di testi che Ranieri interpreta sino a renderli colloquiali, come a voler infrangere quel diaframma che generalmente separa la platea del palcoscenico. Ricordi d’autore, riflessioni sulla vita e sui sogni, conditi da quella vena ora solare, ora invece malinconica nella quale da sempre s’incarna l’anima partenopea; una visione del mondo nella quale il reale e l’onirico, la finzione teatrale e la vita reale, lo stesso dualismo portato in scena da Calone Giovanni e Massimo Ranieri sembrano dover accorciare le distanze fino a confondersi tra loro, appunto a ricordarci, per continuare a citare il Bardo, che «siamo fatti della stessa sostanza dei sogni». Ma ovviamente la musica c’è ed eccome, a cominciare dalle canzoni che formano la scaletta di «Tutti i sogni ancora in volo», l’album dell’anno scorso nel quale il Nostro – con la sapiente, preziosa collaborazione di Gino Vannelli – ha voluto lanciare lo sguardo oltre il suo classico repertorio, abbracciando nuove canzoni d’autore.

È il caso, ad esempio, della poetica La mia mano a farfalla, scritta dal tardo Bruno Lauzi e musicata da Franco Fasano in una gustosa versione all’aroma di mambo o delle atmosfere dal sapore vagamente fusion di È davvero così strano del «nostro» Giuliano Sangiorgi. Testi e musiche nuove come, tra gli altri, in Dopo il deserto di Ivano Fossati, Tutto quello che ho di Gianni Togni o Questo io sono di Pacifico, per una galleria di autori di tutto rispetto che consente a Massimo Ranieri di tornare in scena in una versione rinnovata, ma non troppo, perché alla fine il pubblico – e lui lo sa bene – non aspetta altro che il momento in cui arrivano le melodie di sempre, quelle che può cantare in coro quasi rubando le strofe all’interprete, che in realtà è felicissimo di poter rivolgere il microfono verso la platea e intraprendere una sorta di gioco responsoriale.

La prima dimostrazione si ha con l’Erba di casa mia che riporta buona parte degli ascoltatori a quel 1972 in cui il brano uscì vittorioso a Sanremo, quando il Festival era tutt’altra cosa rispetto a oggi. Perché c’è poco da fare, nostalgia a parte, chi va ad ascoltare Massimo Ranieri vuole anche e soprattutto riaccendere la luce rassicurante dei ricordi e, inutile a dirsi, si aspetta, anzi, pretende, di ascoltarne i cavalli di battaglia, senza i quali anche il miglior nuovo recital sembrerebbe monco di qualcosa. Inevitabile, allora, l’ovazione da stadio per quel Rose Rosse che lo vide scalare il successo appena diciassettenne e che al Petruzzelli è stato coronato dalla consegna di una rosa da parte di una fan «premiata» persino da un bacio del cantante.

Dispensati con accortezza tra i brani più recenti, come delle pietre miliari, ecco allora i grandi successi come Se bruciasse la città o Perdere l’amore, alternati a qualche omaggio alla grande canzone napoletana col Carosone di Pigliate ‘na pastiglia e Tu vuo’ fa’ l’americano o una versione molto teatrale di Luna Rossa. Quasi tre ore di musica ben supportata da una band agguerritissima - nella quale militava, tra gli altri, la vocalist materana Valentina Pinto (Midorii) – in cui Ranieri non si è mai risparmiato sgambettando sul palcoscenico con agilità felina nel suo smoking di lamé rosso (ma dello stesso colore erano anche i calzini e, nel secondo tempo, la camicia in seta) fino alla conclusione quando, dopo le numerose chiamate del pubblico, è tornato in scena col suo Vent’anni. Un tuffo rigenerante negli Anni ‘70, sicuramente anche per quanti – pochi in verità nel Petruzzelli – a quell’epoca ancora non c’erano.

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