COSENZA - Un sabato di passione. La curva più pericolosa dell’anno. Forse l’ultima occasione per dimostrare di poter davvero essere il Bari. A Cosenza vale tantissimo, un eufemismo. La realtà è che in palio c’è molto di più. Una città col fiato sospeso, tifoseria vittima di una profonda ingiustizia (tutti colpevoli, nessuno escluso). Sarà anche eccessivo ma qui, in una Calabria che prova a restare a galla, l’impressione è che ci si giochi la «vita». Al bando le chiacchiere, i veleni, le dietrologie, finanche i processi. Conta vincere per provare a costruire un finale meno angoscioso. Conta parlare sul campo, cancellando mesi di brutte storie.
Non si sono ancora spenti gli echi delle lacrime di Di Cesare. Che da un lato spiegano la partecipazione emotiva del capitano alla vita del club e dell’altro ci ricordano in che brutto guai s’è cacciato il povero, bistrattato Bari. «Valerione» ha alzato un muro altissimo. Come era giusto e prevedibile che facesse uno con la sua storia. Chiarissimo il messaggio: del passato non frega più nulla, ora l’unica cosa che conta è scongiurare il rischio di quello che sarebbe un vero e proprio disastro. Ci sarà tempo, speriamo con la salvezza in tasca, per ripassare la storia di una stagione inquietante. Quattro allenatori, una gestione scellerata. La sola idea mette i brividi.
Il nuovo corso ha preso il via sabato scorso contro il Pisa. Un altro capitolo illeggibile, se vogliamo. Primo tempo di una pochezza bestiale, il nulla cosmico. Bari allo sbando, in balia dell’avversario. Poi la reazione caratteriale, il cuore oltre l’ostacolo e quel punticino che, però, non può essere sufficiente per vestire l’abito dell’ottimismo. E sì, al netto dei segnali di vitalità mostrati resta chiaro il marchio di una squadra che fa una fatica terribile a fare gol e che continua, incredibilmente, a subire reti con una facilità disarmante. Con queste premesse, e trentaquattro (!) gare giocate, avvertire il vento della fiducia è esercizio di pura acrobazia. Quasi incoscienza. Anzi, una presa in giro.
Poi c’è il bello del calcio. Ovvero, l’imprevedibilità. Possibile che il Bari riesca a trovare la scintilla. E che ritrovi la via maestra. Nessuno, tranne gli ottimisti di professione, si era illuso che questa potesse essere una stagione di slanci e ambizioni. Squadra con tanti limiti e altrettanti equivoci. Ma lottare per la retrocessione... ma no, questa è stata davvero una carrambata. Di pessimo gusto, certo. Impensabile dopo le prime due vittorie di Iachini. Brutte come un debito ma pur sempre sufficienti a pensare che il Bari sarebbe stato in grado almeno di chiudere con dignità.
A Cosenza si giocherà in un ambiente caldo. E sono proprio questi i teatri in cui una squadra che lotta per la sopravvivenza sbatte sul tavolo le carte della disperazione. È qui, in terra calabrese, che siamo curiosi di capire il livello di personalità di un gruppo che finora ne ha mostrata pochissima. Mignani è stato esonerato per un capriccio di Polito. della serie, «ve lo dico io, con un altro allenatore questa squadra può spiccare il volo». Ma Marino e Iachini ve li siete bruciati voi, cari ragazzi in maglia biancorossa. Non giocando contro l’allenatore, sia ben chiaro. Ma giocando partite indegne per una squadra prestigiosa come il Bari. Non è mai stata una questione di moduli o di idee calcistiche. Soltanto di confusione e atteggiamenti discutibili. Non solo in campo, evidentemente. Novanta minuti per riscattare tutto questo casino. Oggi o mai più.