TRANI - «Pure a fronte della velocità di guida del Casale, le omissioni nella corretta gestione della pulizia del tratto stradale in questione, peraltro notoriamente afflitto dalla presenza di aghi di pino, si ritengono condotte concausative dell’evento».
Così il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Lucia Anna Altamura, ha deciso in merito al caso della morte del 28enne chef Raffaele Casale, avvenuta il 16 agosto 2017 cadendo dalla sua moto in via Martiri di Palermo ed ha rigettato la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico ministero, disponendo per gli indagati Francesco Patruno (posizione organizzativa del Comune di Trani e Rup del contratto di servizio con l’azienda dell’igiene urbana Amiu) ed Alessandro Guadagnolo (amministratore unico di Amiu all’epoca del fatto) l’imputazione coatta per concorso in omicidio stradale.
Contestualmente il Gip, accogliendo la richiesta del Pm, ha archiviato la posizione degli altri tre indagati: una donna, amica di Casale, al volante di una vettura che lo seguiva; il comandante della Polizia locale, Leonardo Cuocci Martorano (difeso da Salvatore Pasquadibisceglie); il dirigente dell’Area lavori pubblici dell’epoca, Giovanni Didonna (difeso da Antonio Florio). Le loro posizioni sono state definitivamente stralciate in quanto la donna non è risultato avesse tamponato la moto, il comandante dei vigili aveva già (in epoca antecedente al sinistro) fatto apporre segnali di limite di velocità entro i 30 orari e l’ingegnere capo fatto asfaltare correttamente la strada sempre entro la data del sinistro.
A tale decisione si è giunti dopo una lunga serie di richieste di archiviazione del Pm e opposizioni della famiglia, parte offesa.
Casale quella notte tornava da una festa in campagna per andare a fare colazione con gli amici in un bar del centro. Secondo quanto ricostruito nel procedimento, alla luce dell’incidente probatorio e dell’escussione del perito, l’ingegnere forense Mario Scipione, il motociclista procedeva ad una velocità sostenuta, intorno ai 90 orari e perse aderenza sull’asfalto in una curva a sinistra, finendo per sbattere con la moto prima sul cordolo della pista ciclabile e poi contro la recinzione di un cantiere nei pressi di un palo della pubblica illuminazione: la sua morte avvenne quasi sul colpo.
La pubblica accusa aveva sempre posto a fondamento delle sue richieste di archiviazione l’eccesso di velocità del conducente della moto, ma la famiglia (anche fra sit-in e appelli di papà Raffaele) aveva sempre puntato a dimostrare che il giovane non sarebbe mai caduto se non avesse perso aderenza sull’asfalto a causa della presenza di aghi di pino, poiché la strada scorre fra due file di folti alberi.
Amiu aveva fatto sapere di essere stata sul posto per la pulizia della strada dagli aghi di pino, con un solo operatore, il giorno precedente rispetto a quello del sinistro (il 15 agosto) e nessuna pulizia della strada risultava essere stata disposta per il 16. Le immagini andate in onda nei notiziari, nell’immediatezza del tragico evento, documentavano la presenza di mucchi di aghi di pino lungo il bordo della carreggiata, con sullo sfondo il telo che ricopriva il corpo del Casale.
Nella prima prospettazione il Pm affermava che i mucchi di aghi di pino si erano depositati soprattutto sulla pista ciclabile e non sulla carreggiata veicolare. Ma dopo l’incidente probatorio «era stato proprio il Pm a dedurre - si legge nel provvedimento del Gip - che l’unica incertezza emersa dalla perizia aveva riguardato la presenza e la quantità di aghi di pino sul luogo del sinistro, per la loro incidenza sull’aderenza e sull’assetto del motociclo durante la percorrenza della curva e dell’azione frenante».
La pubblica accusa, tuttavia, concludeva ritenendo che la velocità restasse il solo fattore determinante per l’incidente. Per il Gip, invece, «sulla base non solo di quanto addotto dal perito, ma anche in considerazione della documentazione agli atti - scrive nella decisione -, si deve evincere la non trascurabilità di tale fattore (gli aghi di pino, ndr), non potendo escludere la sussistenza del nesso di casualità causalità tra le condizioni della strada e l’evento mortale».
Trascorsi i dieci giorni entro cui formulerà l’imputazione, il Pm chiederà il rinvio a giudizio degli odierni indagati. Sarà poi fissata l’udienza preliminare per valutarne il proscioglimento o il processo.