ANDRIA - Finiranno sotto inchiesta i medici dell’ospedale Bonomo di Andria che hanno avuto in cura una 61enne di Barletta morta il 19 ottobre del 2020 dopo aver contratto il Covid nel nosocomio. La svolta nell’inchiesta è arrivata nei giorni scorsi, dopo che il gip Domenico Zeno ha respinto la seconda richiesta di archiviazione, imponendo alla procura di iscrivere sul registro degli indagati i medici ed esercitare l’azione penale. Tanto perché, come è scritto nel provvedimento, «risulta certo che la paziente ha contratto l’infezione all’interno dell’ospedale di Andria». Ancora, secondo il giudice la vicenda merita «un approfondimento dibattimentale».
Il giudice ha dunque sposato la tesi dei familiari, rappresentati dall’avvocato Raffaele Dibello, il quale nel proprio atto di opposizione alla richiesta di archiviazione hanno ribadito come risulti evidente che la donna avesse contratto il covid in ospedale, dove era stata ricoverata per essere sottoposta ad un intervento al rachide cervicale. La donna entra nel nosocomio il 20 settembre 2020, l’intervento eseguito otto giorni dopo. Dopo aver trascorso 24 ore in rianimazione la 61enne ritorna nel reparto di neurochirurgia.
L’operazione era perfettamente riuscita, tutto sembrava procedere per il meglio. Il 5 ottobre, però, sopraggiunge la febbre, che i medici associano a eventuali complicanze post operatorie e per questo non sottopongono la paziente a tampone. Dopo le dimissioni, la donna viene nuovamente ricoverata con febbre e astenia: stavolta il tampone è positivo. Il decorso clinico peggiora sempre di più fino al decesso avvenuto il 19 ottobre. Nella consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, i periti scrivono a chiare lettere che « la signora contrasse l’infezione da Sars - Cov -2 nel corso della degenza ospedaliera presso l’ospedale Bonomo di Andria dal 22 settembre al 7 ottobre 2020; vi fu tardivo riconoscimento dei sintomi da Covid - 19 da parte degli operatori sanitari dell’Unità di Neurochirurgia, con violazione delle indicazioni del Ministero della Salute in ordine alla esecuzione dei test diagnostici per l’infezione».
Aggiungono: «la signora non presentava alcun maggior rischio di contrarre l’infezione rispetto a qualsivoglia altro paziente degente in qualsivoglia altra struttura ospedaliera». La famiglia, invece, sostiene che il tardivo riconoscimento dell’infezione causò un tardivo inizio della terapia: da qui il decesso della paziente.