«Che senso ha prevedere una nuova colata di cemento in una città in cui il fabbisogno abitativo è sovrastimato e gli standard urbanistici teoricamente ritenuti sufficienti sono all’evidenza più che carenti?». L’interrogativo rivolto all’amministrazione comunale da Gennaro Rociola e Antonello Damato, segretario cittadino e capogruppo in consiglio comunale della lista Emiliano Sindaco di Puglia, riaccende il dibattito sulla questione edilizia.
Lo scorso 10 luglio, il consiglio comunale ha approvato la delibera relativa all’adozione del Piano Casa e alla regolamentazione delle zone B5: ne è nato un confronto pubblico che resta ancora vivo a distanza di mesi, anche e soprattutto in assenza del Piano Urbanistico Generale che la città attende da diversi decenni. «Ormai ci abbiamo fatto il callo: le questioni urbanistiche a Barletta diventano troppo spesso oggetto di riflessioni infinite e accelerazioni improvvise, a svantaggio della qualità della vita dei cittadini e della vivibilità urbana. È ciò che è accaduto da ultimo per le aree denominate B5 inserite nel Piano regolatore vigente. Si tratta - hanno spiegato Rociola e Damato - di porzioni di territorio appartenenti ai privati, che il Comune avrebbe dovuto espropriare per realizzare, ad esempio, verde e parcheggi. E, invece, nulla». «Gli interventi edilizi previsti sono stati realizzati - incalzano -. Invece per verde, parcheggi e opere similari di urbanizzazione hanno vinto la negligenza e l’oblio pluridecennale».
Entrando nel dettaglio, i due rappresentanti della lista Emiliano Sindaco di Puglia hanno spiegato come, con la delibera approvata il 10 luglio, la maggioranza di centrodestra abbia ratificato quella che viene da loro definita «una “geniale” prospettazione: visto che sono decaduti i vincoli di uso pubblico di quelle aree private, il Comune ora ne prevede l’utilizzo a scopo residenziale per la maggiore gloria della rendita e a scapito dell’interesse della collettività».
Alla luce di questo, i civici si pongono delle domande. «Ma dove sta scritto che quella e solo quella fosse la strada percorribile per affrontare e provare a risolvere il problema? Che senso ha accompagnare la riflessione infinita sul Piano urbanistico generale, talmente infinita da sfidare questa sì i decenni e le epoche politiche, per poi intraprendere con accelerazione degna di miglior causa la scorciatoia del soffocamento della città già costruita?».
Rociola e Damato hanno poi invitato alla riflessione evidenziando come, in seguito all’inchiesta avviata dalla Procura di Milano circa la trasformazione urbana della città, «duecento docenti universitari di tutta Italia, tra cui urbanisti (c’è anche Angela Barbanente del Politecnico di Bari, già assessore regionale), architetti, giuristi, sociologi, antropologi, filosofi hanno sottoscritto un appello nel quale, tra l’altro, si legge: “A Milano si è considerato normale trasformare la città per frammenti, senza un quadro strategico di visione e gestione pubblica”. E poi: “Molti studi e ricerche, con analisi rigorose e documentate, dimostrano come la sostituzione dell’urbanistica con queste forme improprie di rigenerazione urbana – praticate a Milano e imitate in molte altre città italiane – abbia prodotto un’economia sproporzionatamente favorevole alla rendita e alla concentrazione della ricchezza. Questo processo ha aggravato le disuguaglianze sociali e i divari territoriali, ha indebolito la capacità di intervenire sui gravi e urgenti problemi della città, compromettendo sensibilmente la qualità della vita, a partire dal diritto all’abitare e dalla salute dei cittadini”».
«Leggendo queste parole - hanno chiosato Rociola e Damato - a più di qualcuno, dentro e fuori il consiglio comunale, dentro e fuori i palazzi della politica, fischieranno le orecchie o si continuerà a procedere come se niente fosse?».