CANOSA - Ofanto, fiume di intensi traffici e collegamenti navali per secoli, ma anche ostacolo naturale per il collegamento tra le terre del nord e quelle del sud. Un vecchio dilemma per la piana dell’unico fiume pugliese, al punto che al tempo dei romani l’imperatore Traiano pensò bene di costruire il famoso ponte nel I-II sec. d.C. sulla via (Traiana) che collegava Roma alle terre di Barium e Brindisi. Ma quel viadotto maestoso, e così utile per secoli e secoli, in gran parte “ricostruito” nel Settecento dallo stesso architetto e artista Luigi Vanvitelli, man mano divenne quasi un inutile cavalca-fiume, al punto che si rischiò l’abbattimento per far posto ad un altro più adatto a consentire la viabilità degli allora sempre più ingombranti e pesanti mezzi di trasporto, rispetto ai carri e carrozze. Ma qualcosa - fortunatamente - impedì quello che sarebbe stato un autentico scempio.
Ma andiamo per ordine.
«Era il 31 maggio 1900 ed il Consiglio Comunale di Canosa, con delibera, autorizzò le Amministrazioni Provinciali di Bari e Foggia, ad allargare l’antico ponte romano “a cavaliere del fiume Ofanto nell’interesse della viabilità e a tutela della sicurezza”, come da rapporto redatto dopo i rilevamenti effettuati in loco dal 1887 al 1899» ricostruisce il presidente della sezione di Storia Patria, di Canosa, Pasquale Ieva. L’esecutore del progetto, Gaetano Valente, Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico provinciale di Bari, infatti aveva disposto urgenti interventi «a causa della scarsa praticabilità del ponte con carreggiata troppo stretta, che ripetutamente obbligava uno dei carri giunto quasi al displuvio, essendo il ponte “a schiena d’asino”, a retrocedere per dare il passaggio libero all’altro mezzo proveniente in senso inverso». Ed infatti si narra che tanti ingorghi generassero litigi con epiloghi anche violenti.
«Egli affermava che era necessario: “sostituire con una costruzione più moderna, più solida e più rispondente alle attuali esigenze del traffico, molto attivo su quella importantissima arteria stradale interprovinciale, l’antico ponte strettissimo e ormai inservibile, tutto lesionato e quasi cadente” - continua Pasquale Ieva - Il punto di forza dell’Ingegnere Capo era dimostrare la totale mancanza di sicurezza per chi era costretto a transitare per quel ponte, soprattutto per i numerosi carri con il loro pesante carico, per le profonde lesioni insistenti su un lato. In più, sosteneva che del ponte originario romano non rimanevano che i soli piloni e le spalle, mentre il residuale masso murario erano “d’epoca normanna se non angioina”. E aggiungeva che: “abbattendo il ponte vecchio e considerato che incorporati negli argini del fiume si vedevano pezzi di antiche colonne, parte dell’antico castello di Canosa, è più che probabile che dalla demolizione del ponte sarebbero rimessi a luce pezzi archeologici di grande valore”».
«Valente puntualizzava che era prevista la costruzione di una passerella provvisoria in legno più a valle per consentire il transito, mentre per il ponte si sarebbero utilizzati i materiali disponibili nelle cave locali di Canosa. Costo totale dell’opera stimato in lire 84mila - aggiunge Ieva - Ma, quando il progetto definitivo fu ufficialmente consegnato e i lavori appaltati alla ditta Savino Cotrufo di Canosa stavano per iniziare, il 1° aprile 1910, giunse inaspettato il veto prefettizio per una denuncia ricevuta, della quale l’Ingegnere Capo ignorava l’autore ma che riteneva sicuramente “proveniente da persona o persone rivestite di carica ufficiale”. In essa si richiamava l’attenzione del Prefetto sulla prerogativa che il ponte figurava negli elenchi dei Monumenti Nazionali e che “nessuna modifica era lecito apportarvi senza il previo consentimento delle Autorità preposte alla vigilanza ed alla conservazione del patrimonio artistico e monumentale”».
Valente asserì che non poteva essere a conoscenza del vincolo in quanto gli elenchi a cui faceva riferimento la denuncia “non erano stati divulgati abbastanza”. «Nella querelle intervenne il prof. Quintino Quagliati, Sopraintendente ai Musei e Scavi di Puglia: l’8 maggio si recò a Canosa con l’ing. Valente, il deputato provinciale avv. Giuseppe Pesce e il prof. Michele Gervasio, direttore del Museo provinciale di Bari. La commissione sarebbe stata favorevole all’abbattimento pressoché totale del ponte, e per tale imbarazzante opinione il Ministero della Pubblica Istruzione confermò il veto prefettizio affidando una nuova indagine al comm. Giacomo Boni, direttore degli scavi del Foro Romano. - ricostruisce ancora Ieva - Giunto sul posto, Boni rimase incantato quando ebbe ad accertarsi che la strada provinciale occupava lo stesso tracciato dell’antica Via Traiana e che i numerosi avanzi murari testimoniavano la presenza di una serie di tombe romane allineate lungo la strada, che: “dimostravano la convenienza, anzi la necessità di esumarli e metterli in bella mostra in vantaggio della importanza storica dei luoghi, non che degli studiosi e del turismo”».
Un precursore e un lungimirante: il comm. Boni, dall’alto delle sue indiscusse e provate competenze, concludeva che: “il ponte appartenne a detta via, ed ebbe fin dall’origine la stessa forma attuale”. Pur ammettendo l’integrazione e la sostituzione di alcuni elementi di epoca medievale, Boni imponeva che i necessari interventi di messa in sicurezza avrebbero dovuto preservarne la forma e le dimensioni originarie: “essendo preferibile nell’interesse dell’arte lasciare le cose come stanno, conservando il ponte all’ammirazione degli studiosi di antichità. E, nell’interesse del traffico, di costruire altrove un nuovo ponte”».
«Saggio verdetto che mise una pietra tombale allo scellerato progetto, che avrebbe privato la città di un’ulteriore testimonianza della magnificenza antica» conclude Ieva. L’auspicio di Boni si concretizzò ben presto: fu costruito un nuovo ponte, più a valle nel 1936 e inaugurato il 21 novembre 1937. Nell’occasione furono sistemate due lapidi che ricordavano che: «Accanto al vecchio ponte romano le provincie sorelle di Bari e di Foggia costruirono questo ponte dell’impero per maggior favore dei traffici e delle comunicazioni».