L’udienza del processo di Lecce ai giudici di Trani è saltata di nuovo, stavolta perché l’ex ispettore Vincenzo Di Chiaro (in carcere a Matera) ha la febbre a 38. È dunque slittata al 19 marzo l’audizione dell’imprenditore Paolo Tarantini, che ha pagato 400mila euro per evitare una falsa indagine per reati fiscali, e dell’ex procuratore Carlo Capristo. Ma a tenere banco è un nuovo caso: le minacce ricevute in carcere da Flavio D’Introno, l’uomo chiave dell’inchiesta che a gennaio 2019 portò all’arresto dell’ex pm Antonio Savasta e dell’ex gip Michele Nardi.
D’Introno è in carcere a Trani dove sta scontando la condanna definitiva per usura, quella che l’imprenditore di Corato ha avrebbe tentato di evitare con soldi e regali ai magistrati. E proprio qui, avrebbe ricevuto una lettera anonima - composta con lettere di giornale - che lo inviterebbe a non parlare. Lettera che, tramite l’ufficio matricola della casa circondariale, è stata fatta pervenire alla Procura di Trani.
Così come Nardi e Di Chiaro (che hanno scelto di affrontare il processo con rito ordinario), anche D’Introno è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. Ma per l’imprenditore coratino la Procura non ha chiesto il rinvio a giudizio: D’Introno ha continuato a raccontare la propria versione dei fatti fino a pochi giorni prima dell’ordine di carcerazione. Su di lui («Non è una vittima», secondo la Procura) si regge gran parte dell’inchiesta condotta dai carabinieri e coordinata dal pm Roberta Licci.
Un tema, quello delle presunte minacce ai testimoni, già sollevato nel corso del processo: nell’udienza del 19 febbraio è stato l’avvocato Domenico Mariani, difensore di Nardi, a ricordare che se ne è discusso in sede di Riesame. Anche un altro dei testi, Marianna Capogna (l’ex compagna di un amico di D’Introno, che per prima ha raccontato di aver sentito parlare l’imprenditore dei soldi dati ai giudici di Trani) avrebbe ricevuto minacce più o meno velate.
L’indagine di Lecce riguarda appunto i soldi e i regali che D’Introno avrebbe dato a Savasta, Nardi e all’altro ex pm Luigi Scimè (che nega) in cambio di aiuto per le sue disavventure giudiziarie, coinvolgendo anche avvocati e appartenenti alle forze dell’ordine: in tutto oltre due milioni di euro oltre regali e viaggi. Un «sistema», secondo l’accusa, che nel Tribunale di Trani avrebbe coinvolto anche ignari cittadini come gli imprenditori Ferri, Casillo e Tarantini. La prima parte dell’indagine è approdata a processo, mentre una seconda parte è ancora in corso. Savasta e Scimè nel frattempo hanno scelto il rito abbreviato: per loro la sentenza dovrebbe essere emessa il 30 marzo.
Ieri l’udienza davanti alla Seconda sezione (presidente Pietro Baffa) si è svolta a porte chiuse per l’emergenza coronavirus, ma è stata aggiornata per l’assenza di uno degli imputati: era accaduta la stessa cosa un mese fa per un malore capitato a Nardi, portato d’urgenza in ospedale. Tuttavia, nonostante il rinvio, in Aula si è registrato un durissimo scontro tra la difesa di Nardi e la Procura sulle intercettazioni telefoniche e su tutto il materiale informatico di cui il Tribunale ha disposto la trascrizione. «Ci è stato consegnato un tarocco, un pacco napoletano», ha detto l’avvocato Mariani denunciando l’impossibilità da parte del proprio consulente tecnico di accedere ai dati informatici a corredo delle intercettazioni: «È qualcosa di non corrispondente a quello che ci è stato riferito». La Procura ha definito «inammissibili» i termini («tarocco», «pacco napoletano» ) utilizzati dal legale. Il Tribunale ha autorizzato il perito a consegnare alla difesa i codici di accesso al programma di gestione delle intercettazioni, codici che però sarebbero materialmente stati forniti soltanto ieri. Nella prossima udienza dovrebbe testimoniare Francesco Giannella, attuale procuratore aggiunto a Bari, che nei suoi mesi da reggente a Trani ha fatto emergere le presunte irregolarità nelle indagini condotte da Savasta