Sabato 25 Ottobre 2025 | 19:57

Amoruso non ci sta: «Bari, non sei più tu»

Amoruso non ci sta: «Bari, non sei più tu»

 
antonello raimondo

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antonello raimondo

Amoruso non ci sta: «Bari, non sei più tu»

L'ex biancorosso: «Il club ha perso appeal. Qui non si gioca per vincere»

Sabato 25 Ottobre 2025, 14:49

Bastano pochi secondi di conversazione telefonica per comprendere lo stato d’animo di Lorenzo Amoruso, uno di quei baresi del Bari che ha contribuito a scrivere pagine indelebili della storia del club biancorosso. Uno che ha vissuto il «San Nicola» stracolmo e sentito sulla pelle di una città pazza di gioia dopo campionati di B vinti e salvezze in serie A con il petto in fuori... fa una fatica del diavolo a capire come mai ci si sia ridotti in queste condizioni nonostante una proprietà, la Filmauro della famiglia De Laurentiis, che a Napoli ogni anno dimostra di saper fare calcio. Con un occhio ai bilanci, certo. Ma con la capacità di saper investire quando è necessario. Mentre qui sta «morendo» un po’ tutto. Anche quella passione che sempre rende quello barese un tifo straordinario.

Amoruso, da lontano come valuta la situazione del calcio barese?

«Provo tanta amarezza. Bari è la mia città nonostante io, ormai, vivo da un bel po’ di anni a Firenze. Nel Bari sono cresciuto facendo tutta la trafila nel settore giovanile fino all’esordio in prima squadra e in serie A. Lì giù c’è la mia famiglia e gli amici di sempre. Ero e resto un tifoso dei Galletti. Quella maglia ti resta addosso. Succede a chiunque, figurarsi a me che l’ho sognata e inseguita da quando ero un bambino».

Cresce il distacco tra città e squadra. Tutta colpa di una società che gestisce malissimo quell’obbrobrio giuridico che risponde al nome di multiproprietà.

«E non può essere diversamente. Anche un cieco si accorgerebbe che tra Napoli e Bari c’è un abisso. Nessuno pretende che vengano investiti gli stessi soldi, il club campano ha entrate molto più alte. Però non si vede nemmeno la volontà di giocare per vincere».

A molti tifosi e tanti osservatori era piaciuto l’ultimo mercato. Poi i fatti dicono altro...

«I fatti non sono un dettaglio, anzi. Credo che sia stata costruita una rosa che farà fatica a giocare i playoff, altro che chiacchiere. Il mercato? Non è facile per Magalini e Di Cesare. Nell’ambiente ci si parla e c’è la consapevolezza che Bari non è più la piazza con l’ambizione di un tempo. Ecco spiegato il motivo di tanti “no”. Questa è una cosa che, francamente, mi addolora molto. Ma scherziamo? Ho letto di gente che ha preferito il Frosinone al Bari (Ambrosino. E Obaretin ha scelto Empoli, ndr). Non lo accetto, punto».

Caserta è stato per più settimane in bilico. Tutta colpa dell’allenatore? Nel calcio funziona spesso così. Lei che ne pensa?

«Le idee di Caserta sono state fin troppo chiare da subito: ha pensato già dall’estate a una squadra che dovesse giocare a calcio. Ci sono difficoltà e anche tante nello sviluppo del progetto. Vedo una squadra fragile, anche dal punto di vista caratteriale. E questo limiti gravissimi».

Come ci si comporta in questi casi? Caserta ha detto che non cambia, per lui il Bari può battere solo la strada del gioco.

«Nessuno meglio di lui conosce le caratteristiche dei calciatori. Però non sottovaluterei le verità del campo. A me sta bene tutto ma se poi la squadra non fa risultati e, in più, offre prestazioni mediocri come la mettiamo? Un bravo allenatore deve saper trovare soluzioni. A costo di rinnegare il proprio credo calcistico. E mi dicono che Caserta sia bravo. Vedremo...».

Si fa fatica a trovare qualcosa che funzioni nel Bari. La fase di non possesso, decisamente, presenta un rendimento inquietante.

«Vero. E me n’ero accorto già dalle prime partite. Contro Venezia e Monza, però, almeno la squadra aveva dato segnali di vivacità. Poi è stato un peggioramento continuo. Tante sconfitte ma soprattutto la sensazione di una squadra impalpabile».

Il calcio, intanto, attraversa una crisi d’identità sul piano difensivo. Non marca più nessuno. Solo costruzione dal basso.

«È un discorso che parte da lontano, dai settori giovanili. Ai miei tempi facevamo allenamenti sui takle. Secondo lei oggi un allenatore fa allenare un calciatore sui takle? Dubito. E poi basta a pensare che solo oggi si giochi partendo da dietro. È una bugia grande come una casa. Io, per esempio, mica buttavo il pallone a casaccio. Si dicono tante cose e spesso sono imprecise».

Contro il Mantova diventa quasi uno spareggio. Vietato sbagliare.

«Occhio, però. Avversario che subisce troppi gol ma il peso psicologico è tutto sul Bari».

Se la ricorda la sua esperienza mantovana?

«La prima volta lontano da casa. Giocai in C2, una stagione molto utile. Poi Pesaro in C1 e il ritorno a casa. Con Materazzi cominciò la mia lunga storia da calciatore. Le vittorie, la promozione in A, il “viaggio” a Firenza e quella fantastica cavalcata con i Rangers di Glasgow. Con Bari e il Bari nel cuore. Lo scriva, per favore».

A Firenze ha visto dal vivo Castrovilli.

«In B è un ospite di lusso. Un altro mondo. Ma deve ritrovare la “gamba” dei giorni migliori. Così, farà la differenza».

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