BARI - Se qualcuno oggi stesso richiedesse una visura al catasto sul teatro Petruzzelli, scoprirebbe con sorpresa che risulta tristemente registrato come «unità collabente», cioè inagibile. Ma come è possibile che un politeama così prestigioso, dall’immenso valore storico e culturale, da 12 anni di nuovo funzionante dopo gli anni bui successivi al drammatico rogo, per gli uffici comunali risulti accatastato come un rudere?
Per capire a fondo tutte le sfumature dell’opera che sta andando in scena, però, è bene fare un piccolo passo indietro. Torniamo allo scorso novembre, al dietro le quinte, quando la Corte d’Appello di Bari stabilisce sostanzialmente due cose. La prima: il Protocollo d’Intesa del 2002, quello in base al quale soggetti pubblici e privati convenivano le modalità di finanziamento dei lavori di ristrutturazione del teatro, è da considerarsi «carta straccia». Inefficace per la precisione.
Non poteva, cioè, produrre i suoi effetti a causa di un’approvazione formale mancante, dell’allora Provincia, ente che pure, dopo la sottoscrizione dell’allora presidente Vernola, aveva versato il suo contributo multimilionario. Come via Spalato abbia potuto pagare la quota senza un via libera ufficiale all’accordo resta un mistero, ma questa è un’altra storia. I giudici, dicevamo, stabiliscono anche altro in una sentenza della stessa data: il politeama è sempre stato di proprietà privata, non pubblica. Una vittoria sanguinosa, per i Messeni, considerando che sull’altro piatto della bilancia ci sono qualcosa come 43 milioni di euro che gli eredi devono rifondere allo Stato per la ricostruzione.
E così, a fine dicembre, il Comune prende carta e penna e scrive agli eredi intimando loro: fate il nuovo accatastamento del teatro entro 90 giorni, termine che scade a breve. Ma come, si chiede la famiglia: non avevate detto sino ad oggi che eravate voi i proprietari, non lo avete già fatto voi che avete promosso e seguito i lavori e disposto le modifiche? Assistiti dall’avvocato Ascanio Amenduni, insieme a Ciro Garibaldi per Vittoria, i Messeni-Nemagna chiedono comunque a Palazzo di Città di trasmettere progetti e planimetrie, nonché di potere entrare in teatro per rendersi conto dello stato dei luoghi. Chiedono anche se nel frattempo il bene sia stato incluso, oppure no, tra i beni demaniali. In più c’è un nodo Imu non di poco conto.
Il Consiglio Comunale nel 2010 si era ritirato in autotutela dal Protocollo, autoproclamandosi proprietario del Teatro. Da allora Palazzo di Città ovviamente non ha mai chiesto l’Imu ai Messeni. Le cose cambiano dopo la sentenza della Corte d’Appello. Il Comune chiede l’imposta degli ultimi cinque anni, essendo ormai prescritti gli anni precedenti. I Messeni non ci stanno e promuovono l’ennesimo contenzioso, questa volta innanzi alla Commissione tributaria provinciale, lamentando che non si può pretendere l’imposta da parte di chi, a loro dire, avrebbe usurpato il bene stesso oggetto della pretesa, senza averne titolo.
Quanto alla richiesta di sopralluogo, il Comune non risponde nemmeno. Ma sono le risposte che giungono dalle Ripartizioni Tributi e Patrimonio, a destare molto interesse. Se non proprio un colpo di scena, poco ci manca. La ripartizione Tributi fa sapere, infatti, che sull’unità immobiliare iscritta al foglio 97, particella 44 sub 11, ovvero il teatro Petruzzelli, dopo l’incendio del 27 ottobre 1991, era stata inserita l’annotazione d’inagibilità per via del rogo. E sin qui, nulla di strano. Il 21 settembre 2009 varia la classe, F2, per la precisione ovvero, appunto «unità collabente», uguale rudere. Quello stesso anno, a luglio, viene attestata l’agibilità sul piano funzionale: c’è il via libera della Commissione provinciale di vigilanza sui locali pubblico spettacolo. Nessun problema almeno sotto questo aspetto, per l’uso del teatro, insomma, dall’opera al Bi&Fest. Il nodo, però, è quello della regolarità sul un altro aspetto: il teatro Petruzzelli non è agibile sul piano urbanistico, o meglio non risulta mai richiesta, né rilasciata, alcuna agibilità con la relativa certificazione.
Lo attesta lo stesso direttore della ripartizione Urbanistica Privata il 15 marzo scorso. Si scopre persino che il teatro non è mai stato incluso nell’elenco dei beni demaniali. Del resto, non avrebbe potuto esserlo visto che, come la stessa ripartizione Patrimonio annota, con lettera del 28 marzo, la trascrizione non si è mai potuta perfezionare in quanto «l’Agenzia delle Entrate, sentita l’Avvocatura di Stato, ha espresso parere negativo alla trascrizione». Facile intuire il perché: la delibera comunale del 2010, quella con la quale la politica annunciò che la città diventava finalmente proprietaria del teatro, in realtà, dal punto di vista giuridico, «non costituisce titolo idoneo per la trascrizione». Insomma, dodici anni prima della recente sentenza della corte d’Appello, l’Avvocatura dello Stato e l’Agenzia delle Entrate avevano visto lungo, quasi anticipando il Comune che, allora come oggi non poteva né chiedere un nuovo accatastamento, né trascrivere alcuna proprietà. Cala il sipario. Per ora.