BARI - Lucia Fazio, 32 anni, di Bitetto, lavora a Milano in un Covid hotel, precisamente l’Hotel Michelangelo (zona stazione centrale), una delle tante strutture ricettive della Lombardia convertite in struttura sanitaria per i pazienti meno gravi.
Qui lavora Lucia. Racconta, via social: «Sono orgogliosa nel mio piccolo di aver dato una mano a chi soffre, in questo periodo». Come mai si trova a Milano? «Dopo la maturità ho iniziato un percorso di studi in Ingegneria civile e per pagarmi gli studi ho cominciato a fare la cameriera part time. Nel tempo, però, il settore alberghiero è diventato la mia passione - confessa -. Mi sono formata da professionista di sala con corsi specifici e masterclass su cibo e bevande. Da cameriera sono passata a maitre e poi a direttrice di sala conseguendo anche premi e riconoscimenti». Successivamente inizia un nuovo percorso: seguire la nascita di un locale, tra scelta del menu, sistemazione sala e bar, formazione personale. E anche rimettere in sesto attività fallimentari tipo «cucine da incubo».
Veniamo ai giorni nostri. «Il 21 febbraio parto per Milano, dove il primo marzo firmo un contratto importante di lavoro. Mi ritrovo in una città diversa dal solito, semi vuota, avvolta dal silenzio, tra i locali vuoti e la paura che si legge negli occhi dei passanti», è la testimonianza di Lucia Fazio.
L’8 marzo scatta la chiusura totale. «Mi affaccio alla finestra e vedo gente con la valigia in mano che corre, taxi che passano ogni due secondi. Stavano scappando tutti. Io no. Pure io sarei voluta scappare, ritornare in Puglia. Subito, però, ho razionalizzato che sarebbe stata la cavolata più grossa, perché se ero in una zona totalmente infetta avrei rischiato di portare la malattia nel mio amato paese, Bitetto, di diffonderla tra i miei familiari».
Quindi, che cosa decide di fare? «A distanza di due giorni un mio caro amico lombardo mi mette a disposizione una casa, poiché era diventato quasi impossibile trovarne una. Il mio amico non pretende alcun fitto e questo è già tantissimo. Mi metto a mandare curriculum a tutta forza». La speranza di trovare un lavoro non è vana. «La mattina del 28 marzo ricevo una telefonata. Mi propongono di lavorare al Michelangelo, trasformato in Covid hotel per le persone infettate che non possono trascorrere la quarantena a casa. Ho risposto ”sì, con immenso piacere”. Il primo aprile comincio questa avventura».
Alla Fazio viene affidata la gestione della cucina e del servizio di ristorazione ai piani. «Non è stato facile iniziare a lavorare evitando il contagio. Per annullare ogni rischio ho immaginato le stanze dell’albergo come se fossero singole case dove i camerieri consegnano un sacchetto stile take away fuori dalla porta. Nel sacchetto c’è tutto, posate, pane, tovaglioli, tre pasti composti da un primo, un secondo e un contorno, più la frutta. Nella consegna serale viene aggiunta la colazione con succo, merendina e biscotti».
Ora la macchina è rodata. «Controllo che tutto sia sanificato in discesa dai piani, cioè i box termici con cui vengono trasportati i pasti caldi, i carrelli, l’ascensore, per poi passare a maniglie porte e alla cucina stessa». Come comincia la preparazione? «Con una lista delle camere con annesse diete. Infatti ci sono pazienti che devono mangiare in bianco poiché il Covid-19 può dare dissenteria, e chi ha intolleranze. Il team prepara il sacchetto in cucina scrivendoci su il numero della stanza. Il tutto - spiega Lucia Fazio - viene lasciato appeso alla maniglia della porta e il paziente viene avvisato con il campanello. A fine pasto ognuno riutilizza lo stesso sacchetto come spazzatura lasciandolo fuori dalla porta».
A Lucia mancano 7 esami alla laurea.
















