Il persistere del Covid-19 sta facendo emergere una serie di limiti e di contraddizioni nei rapporti tra poteri interni e tra poteri nazionali e sovranazionali, nonché tra questi e i padroni dell’industria farmaceutica globale.
Problemi distinti ma connessi, come dimostrano i fatti di questi giorni. Il tutto ruota oggi attorno alla questione vaccini, tra Governatori regionali che puntano i piedi, Commissari straordinari che emanano direttive valide sul territorio nazionale fondate sull’elementare considerazione che le modalità di contagio sono le medesime dalle Alpi alle Piramidi e che, dunque, le priorità nell’inoculazione dei vaccini debbono essere le stesse, e governo che nicchia. Se da una valutazione prima tecnica e poi politica emerge che occorre fare maggiore attenzione ai luoghi in cui si svolge una determinata attività piuttosto che un’altra, la prima dovrà essere “congelata” più a lungo della seconda. Non c’è capriccio, così come la scelta delle categorie da vaccinare per prime deve essere basata sul criterio del maggior rischio di contrarre il Covid-19 e della gravità probabile delle conseguenze. Vi è già un doppio livello valutativo-decisionale (suddiviso tra un parere scientifico ed una decisione dell’esecutivo), non se ne sente il bisogno di altri.
La pluralità di livelli decisionali in merito alla stessa materia è ovviamente deleteria, ma ancor più incompatibile con qualsiasi oggetto da regolare, in ogni settore. Ve l’immaginate una partita di calcio con due arbitri in campo, dotati dei medesimi poteri? L’incontro finirebbe per arenarsi, con buona pace di VAR e assistenti vari. E che dire dall’effetto prodotto sulla gente?
Basta un esempio.
Il Far West che si è scatenato in Puglia (e non solo) sulle regole e i destinatari dell’agognato vaccino non soltanto denota confusione, ma genera confusione. I cittadini perdono fiducia nelle istituzioni, con tutto quel che ne consegue compresa la flessione del rispetto delle regole imposte per contenere il Coronavirus.
Una regola, e quindi una norma, per essere efficace, non solo dev’essere eccellente, esprimere dei contenuti funzionali allo scopo che intende perseguire, ma deve provenire da un organo legittimato a darla e che non sia privato della propria credibilità. Senza credibilità, viene meno la sua tenuta. È quanto sta accadendo, spesso, in questi ultimi tempi a proposito di tutto quanto dovrebbe servire a contenere la pandemia da Covid-19. Se l’autorevolezza langue, boccheggia anche la convivenza sociale. L’assenza di modelli produce, ancora una volta, confusione.
E poi c’è il capitolo Big Pharma, le multinazionali del farmaco.
Salutate come salvatrici della patria, anzi del globo, pian piano stanno facendo emergere interessi economici che, pur legittimi, non dovrebbero costituire la rotta della loro azione in questo momento di lotta al flagello del terzo millennio. Di AstraZeneca è noto l’inadempimento reiterato alle forniture pattuite, evidentemente reso possibile dai contratti – tuttora segretati – sottoscritti in posizioni di forza. Ma anche Pfizer non è da meno, anzi, agendo a colpi di maggiorazione dei prezzi. Una corsa al rialzo, eticamente scorretta. C’è il profitto ma ci sono anche le sorti di una fetta non indifferente dell’umanità. Ci sono inoltre le tegole degli effetti collaterali, prima AstraZeneca e ora Johnson & Johnson, annunciato trionfalmente in Europa e da ieri in stand by.
L’Europa. La gestione della pandemia a livello di UE è stata fallimentare, facendo emergere ancora una volta i limiti intrinseci di un’Unione-non Unione. Dapprima nel tentativo di coordinare le misure atte a contenere la diffusione del virus, poi – e specialmente – nella gestione dell’acquisto dei vaccini.
Un guazzabuglio, insomma.
Un grande caos tra vaccini e potenti, nel quale gli uni indeboliscono gli altri e viceversa.
A farne le spese, inutile dirlo, il comune cittadino, tirato da una parte e dall’altra, sempre più desideroso di uscire da questo infinito isolamento che ha messo in freezer una parte di sé. Battaglia improba, certo, ma che non richiede sabotatori all’interno del proprio esercito. Gli autogol, per continuare con la metafora calcistica, non fanno score per la propria squadra. E gli avversari sono immensamente compatti nella loro microscopica ostinazione, refrattari ad ogni rivolta od ostruzione interna. Puntano dritti all’obiettivo senza tergiversare.
E allora?
«Il potere è la capacità di effettuare dei cambiamenti», diceva Martin Luther King. Naturalmente in meglio, per raggiungere degli scopi. In questa fase epocale non è ardito ambire a dei mutamenti, che possano farci uscire da una palude in cui spiccano stagnanti stratificazioni di poteri e di potenti, spesso non all’altezza dei compiti, incapaci di raggiungere scopi che oggi sono degli imperativi.