La divisa è un po’ come il coraggio: chi non ce l’ha non se la può dare. Anche se vorrebbe. In tanti ricorderanno i «travestimenti» dell’ex ministro Matteo Salvini che era solito indossare giacche, cappelli e felpe dei corpi di cui, di volta in volta, sposava la causa. Memorabile la volta in cui si presentò alla Camera con un giaccone della Polizia di Stato, attirandosi le ire della sinistra che si stracciò le vesti per l’avvenuta profanazione del tempio democratico.
Pagine colorite di cronaca patria in cui, da qualche settimana, si è incuneata di prepotenza un’altra figura: il generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo, alpino e nuovo commissario all’emergenza Covid.
Alzi la mano chi è riuscito a vederlo in giacca e cravatta o magari in maglione e in scarpe da tennis. Il Generale non si scrolla mai di dosso la propria identità militare né, c’è da dire, la esibisce o la dosa a seconda delle circostanze. È una sorta di prolungamento di se stesso, un abito che fa il monaco perché di monaco si tratta. La cosa, manco a dirlo, non è passata inosservata. Per gli anti-Draghi è la certificazione della «militarizzazione» ormai in corso dell’Italia, sfregiata da un commissariamento euro-burocratico. La destra al Governo approva, quella fuori dal Governo, cioè Fratelli d’Italia, brinda per l’uscita di scena del predecessore di Figliuolo, il manager Domenico Arcuri, e sostanzialmente annuisce anch’essa. E la sinistra? Qualche arcobaleno storcerà il naso per il sempre mimetico outfit estate/inverno del generale ma cova il dissenso in silenzio. E di questo varrebbe la pena ringraziare Draghi e tutti i governi tecnici che avranno ogni difetto possibile, ma almeno hanno il pregio di stipare in cambusa tutte le derive ideologiche, soprattutto se post-Sessantottine.
Certo, se Figliuolo, anziché il commissario all’emergenza fosse il ministro della Difesa (e chissà che non succeda in futuro), le cose andrebbero diversamente. Probabilmente finirebbe per fare come un altro generale illustrissimo, Charles De Gaulle, che si mostrava in divisa solo quando voleva ricordare ai francesi di essere il capo delle Forze armate - talvolta rifiutando di farsi truccare con effetto spaesante da fantasma dell’opera. Storie del Novecento oggi irripetibili, nell’era della comunicazione perfetta e ben studiata, dove a volte però ci si impone per contrappunto. Come il generale Figliuolo che probabilmente non ha messo su una startup di comunicatori per studiare l’approccio migliore ma ha semplicemente deciso di non dismettere i propri panni. Per dirla con la scrittrice Gaia Mazzucco gli alpini «portano il loro passato sulla uniforme e non sono solo nastrini o distintivi: è la storia di ognuno e chiunque può leggerla».