Servono gli Stati Uniti d’Europa non soltanto perché non è più possibile affrontare emergenze sovranazionali, come la pandemia, ricorrendo a soluzioni nazionali. Servono gli Stati Uniti d’Europa non soltanto perché non è più possibile risolvere i problemi economici globali affidandosi ai governi delle piccole patrie. Servono gli Stati Uniti d’Europa non soltanto perché, fermo restando il lento disimpegno protettivo Usa, non è più possibile organizzare una difesa militare basata sui singoli mini-arsenali di ciascun Paese. Servono gli Stati Uniti d’Europa non soltanto perché più ci si affratella più si allunga il periodo di pace tra i popoli. Serve più Europa, cioè serve l’unità politica dell’Europa perché solo così sarà possibile vaccinare il sistema Italia dal male endemico dell’instabilità di governo. Con un’appendice collaterale, con un cadeau più prezioso di un giacimento di diamanti: solo con l’unità politica dell’Europa sarà possibile guarire il Belpaese da una patologia strutturale che ne frena costantemente la crescita: il mostruoso debito pubblico.
Certo, prima di approdare all’unità politica del Vecchio Continente, si potrebbero percorrere altre vie nazionali, a cominciare da un bel itinerario di riforme. Magari fosse facile. Purtroppo l’esperienza dimostra che le riforme made in Italy quasi sempre degenerano in controriforme, col risultato di aggravare malanni e malattie.
Né sarebbe saggio illudersi nelle solite riforme elettorali che, per assicurare stabilità e governabilità, avrebbero bisogno di incisive riforme costituzionali: programma vasto e ambizioso, a iniziare dai tempi biblici e, neppure sicuri, che richiederebbe un mega-progetto di tal fatta.
Rimane solo l’Europa nelle vesti di unico soggetto in grado di condurre lo Stivale sulla buona strada, sia sul versante politico che sul versante economico. I leader europei ne sono consapevoli da tempo. Romano Prodi ha raccontato più volte delle ironizzanti apprensioni del Cancelliere Helmut Kohl (1930-2017), artefice della riunificazione tedesca e dell’euro, per la giostra di presidenti del Consiglio di cui dava spettacolo l’Italia. Tutte le volte che Kohl incontrava il suo omologo italiano si chiedeva e gli chiedeva se lo avrebbe rivisto anche nel vertice successivo. Ovviamente, per questione di stile e di rispetto, Kohl non ha mai affondato il colpo. Ma era ed è indubbio che un’Italia barcollante politicamente e traballante economicamente costituisce il più serio grattacapo per i partner europei. Nessuno vorrebbe mai trovarsi, non solo in Germania, nella condizione di dover pagare più tasse per colpa dell’elevato indebitamento della Penisola.
Ecco perché bisognerebbe pregare giorno e notte per tagliare al più presto il traguardo della storia: unire politicamente l’Europa, che poi, in concreto, significa attribuire al parlamento di Strasburgo il potere di approvare e varare il bilancio comunitario. Questa sì che sarebbe una svolta epocale. Una svolta che impedirebbe ai sistemi politici nazionali più lascivi in materia economica di continuare a imperversare, di seguitare a spendere e spandere al di là di ogni criterio di buon senso e, spesso, di decenza; e che eliminerebbe sul nascere gli effetti perversi, in molti settori, causati dall’incurabile instabilità politica italiana.
Corriamo troppo? Non è detto. Un altro Cancelliere tedesco, Helmut Schmidt (1915-2015), un altro Helmut, quasi quasi benediceva le baruffe, le crisi che periodicamente scoppiavano tra i governi dell’Unione Europea. «Non preoccupatevi - così Schmidt tranquillizzava i colleghi - ogni crisi corrisponde a un passo avanti dell’Europa». Della serie, avrebbe direbbe un redivivo Eduardo De Filippo (1900-1984): e chi ti dice che sia una disgrazia?
Non aveva torto Schmidt. Infatti, la storia gli ha dato ragione. Anche la pandemia ha cementato il vincolo comunitario, anziché disgregarlo. Idem la Brexit, che ha ridato forza e orgoglio all’Europa continentale. Ergo, passo dopo passo si arriverà al bilancio comune votato dall’europarlamento, che sancirà la nascita degli Stati Uniti d’Europa. A quel punto, i venti di crisi dei governi nazionali chissà se monopolizzeranno ancora le prime pagine dei giornali e tutti i lanci delle tv.
Nell’attesa che l’euromiracolo dell’unità politica si verifichi dobbiamo rassegnarci ai balletti italici e al susseguirsi di una crisi dopo l’altra. Stavolta è Matteo Renzi a puntare i piedi forse perché, sotto sotto, vorrebbe una legge elettorale che non trasformi Italia Viva in Italia Morta. L’altro anno aveva provveduto Matteo Salvini a rompere la maggioranza di governo, scommettendo (sventatamente) l’intera posta su un voto anticipato foriero di copiosi raccolti nelle urne. Domani, chissà. C’è sempre qualcuno, nel magmatico assetto politico nazionale, che possiede i numeri parlamentari in grado di far saltare pure un esecutivo presieduto da Napoleone (1769-1821) in persona. Ecco perché non ci resta che prendere atto del caso Italia e sperare che la constatazione-profezia di Schmidt sull’Europa non subisca confutazioni e decelerazioni. Altrimenti, al di fuori dell’Europa unita, non ci salva nessuno.