Che le donne siano emotive, può essere anche un dato di fatto. Anzi è un valore aggiunto. Ma che questo infici il loro criterio di giudizio è tutta un'altra storia.
Ad infiammare la polemica sulla questione è la frase shock pronunciata da Donato Mitola, docente di Bioetica e Filosofia durante una lezione online agli studenti del primo anno di Medicina dell'Università di Bari. La frase incriminata è la seguente: «Non ci possono essere giudici donne, perché giudicare vuol dire essere imparziali e le donne invece sono condizionate dall’emotività».
Parole che hanno fatto il giro del web, rimbalzando da una chat all'altra, tra un post a un commento su Facebook fino ad arrivare alle orecchie dei consiglieri nazionali di Parità, Francesca Bagni Cipriani e Serenella Molendini che hanno chiesto ufficialmente al Rettore Stefano Bronzini dell'Ateneo barese la rimozione del docente dalla sua funzione di cultore della materia di Bioetica presso la facoltà di Medicina dell’Università di Bari.
Il docente pare abbia espresso a corredo delle sue affermazioni delle «tesi scientifiche», con tanto di slides e immagini di «un cervello maschile e di un cervello femminile in cui la rappresentazione della materia grigia di una donna è legata a generare il mal di testa, all'impulso per l'acquisto di gioielli e di scarpe e a parlare molto» citano nella missiva al Rettore le consiglieri nazionali di Parità. Dichiarazioni che hanno scosso anche gli studenti (di ambo i sessi) che tramite le associazioni studentesche si sono dissociati con forza. Alessandro Digregorio, Senatore Accademico di Link Bari, ha invocato «l'intervento del preside della Scuola di Medicina e del Rettore per chiarire la faccenda, affinché i luoghi del sapere non siano più teatri di simili episodi misogini». «Gli studenti e le studentesse hanno il diritto di ricevere una formazione critica verso l’esistente - ha dichiarato Noemi Sassanelli, coordinatrice dell’associazione Link Medicina Bari - ma allo stesso tempo libera da discriminazioni e pregiudizi che da secoli ledono la figura della donna in ogni ambito. Non resteremo in silenzio: fuori il sessismo dalla nostra Università». A urtare la sensibilità accademica, dunque, non è tanto l'uscita infelice del docente, quanto un problema di fondo e più radicato, che si interseca con l'importanza del significato delle parole. Perché si sa, le parole sono pietre e - per citare Nanni Moretti - «sono importanti». L'emozione è quello stato psichico affettivo e momentaneo che consiste nella reazione opposta dall'organismo a percezioni o rappresentazioni che ne turbano l'equilibrio (Treccani ndr.). Il giudizio invece è la capacità individuale di valutare o definire i fatti. Mai parole potevano essere più lontane, semanticamente parlando. Per questo fa specie che uno studioso della Bioetica le usi in maniera così superficiale. Non è forse vero che l'essere umano si distingue dalla specie animale proprio perché è in grado di provare emozioni e sentimenti, e soprattutto perché ha capacità di giudizio? Le emozioni non hanno genere. Appartengono sia all'uomo che alla donna. E fin qui siamo tutti d'accordo. Ma quando ad essere minata è la capacità di giudizio, che lo ricordiamo, si basa su un criterio oggettivo che analizza dei parametri netti e precisi, non c'è trasporto o emotività che tenga.
I fatti sono fatti e parlano da soli. Le emozioni sono altro. E chi non lo capisce non è sessista o misogino. Semplicemente ignora l'importanza delle parole. L'equivoco è tutto qui: si chiama «ignoranza emotiva». La stessa che spinge alcuni a considerare le donne con il segno meno davanti al proprio ruolo. Che siano esse giudici, medici, professori o manager non importa. Gli strafalcioni di questo tipo fanno storcere il naso, è vero ma sono anche utili ad accendere il dibattito. Solo così si possono creare delle crepe in quel famoso «soffitto di cristallo» che tutti vedono ma che in pochi scalfiscono. Se lo si farà poi a colpi di emozioni, è ancora meglio.