I sondaggi «tra la gente» comune, quelli cioè che circolavano ben prima dei dati delle agenzie specializzate, davano un testa a testa. I risultati, a urne ancora aperte, confermano un distacco netto: i pugliesi hanno confermato Michele Emiliano (centrosinistra) presidente della Regione e non gli hanno preferito Raffaele Fitto (centrodestra).
Perché, a questo punto, è la domanda da porsi, in una regione ormai da un ventennio vocata alla sinistra la “gente comune” e i sondaggisti continuano a credere in una rimonta, se non addirittura in un ribaltone, da parte del centrodestra?
Intanto analizziamo cosa i pugliesi hanno trovato sulla scheda elettorale, diventata famosa per le dimensioni e soprannominata un lenzuolo. Hanno trovato una sfida tra “usati sicuri”, come avrebbero detto i grillini della prima ora quando riuscirono a defenestrare Bersani dall’uscio promesso di Palazzo Chigi.
Ovvero una sfida tra il governatore uscente e già sindaco di Bari, dunque amministratore della cosa pubblica da almeno 16 anni, e l’eurodeputato di Fratelli d’Italia che per un decennio la Regione l’aveva già guidata. Il “terzo incomodo”, la candidata dei Cinque Stelle appunto, lo era già stata nelle precedenti regionali e per un quinquennio ha rappresentato il volto “istituzionale” e “riformatore” del Movimento. Usati sicuri appunto, gente di cui fidarsi se si condivide l’idea politica, non “sorprese” su cui scommettere per un cambiamento radicale. Quello che successe, invece, nel 2005, quando la Puglia allora vocata a destra si consegnò a pieni voti al “governatore rosso” Vendola (e i sondaggi tra la gente e le agenzie non funzionarono), un “alieno” vincitore delle primarie nella sinistra che in buona parte non lo voleva, a scapito proprio di Fitto.
Ecco, questa volta quella “primavera” rivoluzionaria non è andata in scena. Semmai il consolidamento di un percorso, quello del governatore uscente, che anche ai primi microfoni è apparso decisamente meno “sceriffo” del solito, non in veste di combattente solitario semmai di “presidente di tutti”, a cominciare dalla coalizione che lo ha sostenuto e che in questi cinque anni, nelle scelte strategiche, ha coinvolto poco.
Bruciatura - Quanto a Fitto, si può dire che la partita – a fronte di una netta e inequivocabile sconfitta – non è finita poi così male. Intanto “brucia” meno di quella del 2005, che fu sorpresa e inaspettate. Non è un caso se il giovane “democristiano azzurro” di Maglie, erede della Puglia tatarelliana che lo volle alla guida e da tempo andata a sinistra, ci ha messo 15 anni per riprendersi e cimentarsi di nuovo con la corsa al Palazzo di lungomare Nazario Sauro. In secondo luogo, gli è riuscito fare quello che nell’ultimo quindicennio non è riuscito a nessuno: mettere di nuovo insieme tutto il centrodestra, storicamente diviso ad ogni appuntamento elettorale che si rispetti, che siano le amministrative (come dimostrano le più recenti, con la vittoria in tutti i capoluoghi tranne Foggia) o le regionali (dove la Poli Bortone insidiava prima Fitto e poi Palese portandosi dietro pezzi di coalizione, mentre la sinistra si presentava con un unico carro armato). Ecco, rivedere sugli stessi banchi salviniani e berlusconiani non era un’impresa di poco conto e almeno questa gli è riuscita.
Laricchia, a sua volta, potrà ben valersi di aver consegnato ai Cinque Stelle – ormai in caduta libera a livello nazionale e ancor più nei territori – un risultato importante. Ha giocato una perdita a perdere, ben consapevole dei due colossi che la schiacciavano da destra e sinistra e del “fuoco amico” che gli sparavano da Roma, cercando di convincerla a un passo indietro nel nome del vessillo “giallorosso” (l’alleanza col Pd voluta da Conte a Roma). Ma a suo modo l’ha vinta consentendo, seppure non con i fasti di cinque anni, al M5S di avere ancora una sua rappresentanza in Consiglio.
Ininfluente, invece, l’azione di “insidia” giocata da Renzi nei confronti del suo nemico di sempre, Emiliano. Per Scalfarotto, almeno a giudicare dall’andamento dello spoglio, c’è il rischio di non avere nemmeno un rappresentante nell’assise pugliese (è sotto la fatidica soglia del 4%). Anche in questo caso l’operazione non era vincere, ma solo far perdere Emiliano e i pugliesi lo hanno capito.
Seggi - Cosa accadrà? Intanto dirimente sarà la distribuzione dei seggi in consiglio e di certo questa volta l’effetto “sorpresa” – anche se sui banchi di opposizione - sarà la Lega, il cui obiettivo non era tanto quello di far vincere il candidato di FdI Fitto (guadagnando la vicepresidenza) quanto dimostrare la sua forza in una regione che, almeno sinora, non l’ha mai premiata. Nella maggioranza, invece, sarà a questo punto il Pd a dover rialzare la testa. Sinora è apparso decisamente dimesso rispetto al “decisionismo” di Emiliano, sebbene abbia dimostrato di essere ancora il primo partito in Puglia e il perno di una coalizione dove le civiche – a cominciare da “Con” - non riescono ad avere uguale peso. Chissà che nel buon governo prospettato da Emiliano nei prossimi cinque anni i Dem, chiusa la partita urne, non riescano ad uscire dall’angolo in cui appaiono, pur ottenendo le “poltrone” di peso in giunta e consiglio regionale.