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La mascherina pilastro della morale post covid

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

La consegna delle mascherine

La consegna delle mascherine

L'Italia delle proteste e delle contese. L'uso della mascherina argomento politico

Mercoledì 19 Agosto 2020, 14:26

Dalle Alpi all’Etna è tutta una protesta contro la chiusura delle discoteche e l’obbligo della mascherina all’aperto dalle 18 in poi. Per ora si tratta di un dissenso pacato, spesso amplificato per ragioni politiche. Non è un mistero che il centrodestra tenda a sminuire il rischio di un ritorno in grande stile dei contagi poiché ritiene che Conte e sui ministri stiano cavalcando la paura per continuare a governare indisturbati e magari a far saltare pure le prossime elezioni regionali.

Salvini, Meloni e co. danno infatti per scontato che nelle sette regioni chiamate al rinnovo di Consigli e presidenti faranno man bassa. Sulla scia di questo sentire vorrebbero anche che si andasse subito alle elezioni politiche per «mandare a casa» Conte e i suoi. C’è da giurarci che all’indomani delle Regionali questo, che oggi è solo argomento dialettico, diventerà una questione politica.

Contro la chiusura di discoteche e l’obbligo di usare la mascherina in pubblico le critiche sono le più svariate. «Perché allora non chiudere anche bar e ristoranti?», «Che senso ha l’obbligo dalle 18 poi, il virus circola a orari?». Obiezioni suggestive dettate dall’istinto più che dalla ragione, giacché mantenere la distanza di sicurezza in una discoteca è assai più difficile che in un bar o in un ristorante, men che mai si potrebbe ballare col viso soffocato dalla mascherina. Allo stesso modo, dalle 18 in poi – soprattutto nelle località turistiche – si affollano i centri storici e le vie della cosiddetta movida, distanza di sicurezza quindi impossibile e allora unico rimedio è la mascherina.

L’avversione alle varie disposizioni anti-contagio in altri Paesi sta prendendo la forma di una contestazione di piazza con marce e cortei, spesso guidati da personaggi del mondo dello spettacolo. In Italia c’è stato qualche sporadico caso, come il filmato in Rete di Bocelli. Non si tratta di «negazionisti», ma di persone che pur ammettendo la circolazione del virus ritengono che vi siano misure di prevenzione eccessive o sbagliate. Il fenomeno appare originato non da pigrizia, indolenza o riluttanza di massa, bensì da un conflitto più profondo, innescato proprio dalla pandemia. La necessità di difendersi dal Covid ha riportato in auge tre questioni etiche passate nel dimenticatoio: la prima è l’esistenza tangibile di imperativi categorici; la seconda l’impossibilità di ritagliarsi una morale ad personam, con regole che ciascuno decide per sé e che valgono a momenti, se si vuole i famosi «principi non negoziabili» cari a papa Benedetto; la terza è quella di cui ha parlato ieri Mario Draghi al meeting di Rimini: il futuro come prospettiva e spazio di realizzazione della vita umana.

Queste tre questioni insieme segnano la rottura, se non la fine della cosiddetta «società liquida» teorizzata e analizzata dal sociologo polacco Zygmunt Bauman a partire dagli anni 2000. Il quale, un decennio più tardi, aveva anche ipotizzato che la società liquida fosse solo un momento di passaggio a qualcosa che doveva ancora manifestarsi in maniera compiuta. La pandemia forse ha solo accelerato questa fase, in ogni caso ha creato una frattura con il passato. Dobbiamo rassegnarci all’esistenza di un’era a.C. (avanti Covid) e un’era d.C. (dopo Covid) nella quale ciè dato di vivere.

Oggi la necessità di difendersi dal virus pandemico non ammette più l’aleatorietà dei rapporti personali e sentimentali, la cancellazione della solidarietà sociale, l’insicurezza diffusa, la mancanza di prospettive, caratteristiche tipiche della società liquida. Ci sono regole precise che devono essere rispettate e non solo per difendere se stessi, ma anche per difendere gli altri: torna la solidarietà non in forma di assistenza, ma nel senso più profondo di attenzione agli altri che oggi significa prima di tutto evitare che si ammalino. L’autorità pubblica, sotto la spinta della necessità, riassume il suo ruolo originario di guida: deve imporre le mascherine, deve vietare certe attività, deve impedire di andare o di tornare da certi paesi e così via. L’ampia libertà assicurata da regole sempre più minime e, soprattutto interpretate da ciascuno con la massima flessibilità, ha fatto sì che più generazioni siano cresciute in maniera «liquida» e oggi sono quelle che più soffrono per il repentino cambio di passo.

Ovviamente sono solo segnali di una tendenza che occorrerà capire quali ulteriori sviluppi comporterà. Di certo produrrà un mutamento dei costumi (è già saltato l’uso di stringersi la mano), dei comportamenti e – inevitabilmente – anche delle leggi. Già oggi si pongono pesanti questioni attorno all’esercizio di libertà fondamentali come il diritto di voto o la libertà di movimento. Durante la fase del lockdown c’è stata una fase piuttosto lunga di sospensione di queste garanzie costituzionali. La prospettiva è che occorrerà convivere con il virus e dunque sarà indispensabile rivedere il sistema delle libertà e il funzionamento dello Stato. Il laissez-faire tipico della società liberale e fatto proprio dalla società liquida anche in campo etico oggi non è più ammissibile, almeno non nella misura in cui ci eravamo abituati. Per paradossale che possa sembrare la «nuova» morale comincia alle 18 di ogni sera con l’obbligo delle mascherine.

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