Se ci trovassimo al posto del presidente Giuseppe Conte, non esiteremmo un minuto nel dire sì ai quattrini del Mes (Meccanismo europeo di stabilità). Non solo perché, insegnano a Bari, la linea del «pochi, maledetti e subito», non presenta controindicazioni. Non solo perché i soldi in questione ci servono come il pane e, per giunta, nel caso specifico, sarebbero quasi a interessi zero. Non solo perché la sanità italiana ha bisogno di una cura ricostituente dopo il lungo stress test da coronavirus.
Ma soprattutto perché con il sì al Mes verrebbe manifestata, al resto del mondo, la nostra volontà di ripartire senza indugi, col motore acceso. E siccome i giudizi e le decisioni dei mercati esteri sono fondamentali per la sorte di un’economia nazionale, l’Italia ha tutto da guadagnare dall’accettazione dei danari del Mes, anche o soprattutto perché questa misura precluderebbe di fatto il rischio Italexit, ossia il divorzio tra Roma e l’Unione Europea.
«Se l’Italia sottoscrive il prestito fornito dal Mes, evidentemente non coltiva retropensieri scissionistici»: sarebbe questo il messaggio inviato alla comunità internazionale. Il che si tradurrebbe in un piccolo grande rimbalzo, innanzitutto psicologico, per tutti quanti. In Italia e fuori.
Ma la navigazione verso l’isola del Mes non è semplice e lineare come una crociera estiva nel Mediterraneo. Eurocontrari ed euroscettici sanno che se passa l’idea dei fondi del Mes, le loro munizioni contro l’Unione Europea verranno intaccate parecchio, con la prospettiva di diventare inoffensive nel giro di poco tempo. Meglio, molto meglio, frenare, o fermare, ragionano quelli del No, il meccanismo salva-stati in nome dell’autonomia di un singolo Paese, della sua sovranità finanziaria e di tanti altri proclami di analogo tenore. L’applauso di una parte dell’opinione pubblica, a loro parere, è assicurato.
E però. Se fossimo al posto del presidente Conte, accelereremmo, come l’ambizioso ferrarista Charles Leclerc, la corsa verso il traguardo, perché mai come adesso si profilerebbero, per lui (sotto tiro), per il governo (in difficoltà) e per il Paese (in crisi produttiva), condizioni altrettanto favorevoli e vantaggiose.
Una. È vero che in Parlamento lo schieramento anti-Mes è più robusto dello schieramento filo-Mes. Ma se si addivenisse allo scontro frontale, se non fosse percorribile la via del compromesso sugli aiuti europei, forse la legislatura avrebbe le ore contate, perché non ci sarebbero soluzioni o combinazioni di ricambio. E dal momento che la maggioranza di deputati e senatori ripudia il voto anticipato, così come gli agnelli temono la Pasqua, c’è da scommettere che al «dunque» le truppe anti-Mes perderebbero pedine su pedine, che, in autoprotezione, per salvare Camera e Senato, andrebbero ad allargare i plotoni filo-Mes.
Due. Sarà che da lunga pezza la politica interna, in Italia, ha sostituito la politica estera come criterio base, come cartina di tornasole, per determinare e formare le alleanze tra i partiti, ma il Mes (incrocio tra politica economica e politica estera) sembra destinato a riportare tutti al punto di partenza: le coalizioni si formano, torneranno a formarsi innanzitutto sulla posizione di ogni gruppo nei confronti dell’Europa. Il che non sarà senza conseguenze. Silvio Berlusconi esclude di mollare Matteo Salvini e Giorgia Meloni, però sul Mes non la pensa come loro. Anzi egli si dice disponibile ad appoggiare il governo Conte qualora si giungesse a votare, in Aula, sulla richiesta di accedere ai miliardi di euro del Fondo salva-stati. Ma la votazione parlamentare sul Mes non sarebbe una votazione di routine, tipo il via libera ai finanziamenti per una mostra fotografica. Sarebbe il progetto, se non il plastico, di un nuovo edificio governativo, stavolta composto pure dai mattoni di Forza Italia.
Né basterà ridimensionare o circoscrivere l’eventuale rimescolamento delle carte sul Mes, provocato dal possibile strappo di Silvio Berlusconi nei riguardi dei suoi due soci nel centrodestra, con la storia che sono iniziate le manovre per il Quirinale e che Romano Prodi ha aperto al Cavaliere per prenotare i di lui voti presidenziabili; o che Berlusconi non ha chiuso alle profferte da parte del suo pluridecennale antagonista Prodi perché convinto che solo un anti-berlusconiano doc come il Professore bolognese, al di sopra di ogni sospetto, potrebbe concedergli, dal Colle, qualcosa che nessun altro potrebbe garantirgli (i berlusconiani più fedeli chiedono a gran voce il laticlavio a vita per il loro beniamino). Il Mes è un argomento troppo serio per potersi trasformare nel paravento di altri giochi e giochetti di carriera, o di trappole e calcoli di frontiera. Da anni, per dire, Berlusconi è allineato sulle posizioni di Angela Merkel. Lo è soprattutto da quando ha lasciato la guida dell’esecutivo (2011), al termine di una fase convulsa e drammatica, segnata anche da un irriferibile epiteto sulla Cancelliera attribuito al leader di Forza Italia, e da quest’ultimo sempre smentito.
Tre. Conte è il primo a sapere che l’autunno sarà caldo e che l’inverno sarà caldissimo, ovviamente per quella parte della popolazione sprovvista del paracadute statale. E che, da un momento all’altro, la piazza potrebbe manifestare in modo assai aspro il proprio malcontento, L’accesso ai soldi europei non solo è opportuno, ma va affrettato con convinzione. Non foss’altro perché, strada facendo, la linea economica degli stati europei settentrionali potrebbe irrigidirsi ancora, con tanti saluti agli impegni di solidarietà presi con i Paesi più colpiti dalla pandemia. Se così fosse, l’Italia si giocherebbe molte delle misure prospettate finora.
Ecco perché a Conte converrebbe forzare la mano (pro Mes), anche a costo di entrare in rotta di collisione con quella parte del Movimento che lo ha designato per Palazzo Chigi. Per il premier sarebbe non la mossa del cavallo (per usare un’espressione mai così abusata come adesso), ma la mossa naturale di un rischio calcolato. Pochi, nel partito che due anni ha proposto, per la direzione del governo, il professore di Volturara a Mattarella, sarebbero così masochisti o kamikaze da accettare l’incerta sfida delle urne pur di sbarrare la strada ai signori e ai finanziamenti del Mes.
Immaginiamo che Conte voglia attendere l’esito del voto regionale di settembre prima di prendere una decisione. Ma il Mes per ora sta fermo, in attesa di prenotazioni. Sa però che prima o poi l’Italia dovrà fare i conti con lui. A patto di non perdere altro tempo.