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Regole certe per evitare confusione tra i poteri

 
Francesco Giorgino

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Francesco Giorgino

Regole certe per evitare confusione tra i poteri

Nel diritto chiarezza ed efficacia sono due categorie che vanno di pari passo

Lunedì 18 Maggio 2020, 15:08

Nel diritto chiarezza ed efficacia sono due categorie che vanno di pari passo. I principali nemici da combattere, specie quando si scrivono norme relative alla “legislazione d’emergenza”, sono da un lato l’ambiguità e dall’altro la vaghezza. Le norme sono chiare quando inducono ad interpretazioni che non contemplano ermeneutiche troppo oppositive. E sono efficaci quando sono in grado di generare effetti conativi, sapendosi adeguare ai contesti di riferimento con un certo tasso di flessibilità. Si tratta di questione rilevante specie quando la regolamentazione si sviluppa all’interno di un sistema che contempla un doppio piano d’intervento: nazionale e territoriale. Kelsen molti decenni fa parlò di “nomodinamicità”, coniando un’etichetta che la dice lunga su quanto sia importante riflettere intorno al discrimine che si stabilisce tra validità giuridica, valore della legge ed efficacia normativa. Un principio quest’ultimo che induce a valutare l’opportunità di un processo di delegificazione anziché di iper-normazione. Una cosa è certa. Quella che comincia oggi è la vera Fase 2, quella della convivenza con il virus. Fase che in un altro scritto avevo fatto coincidere con l’acronimo DOR, ovvero “differenziazione operativa regionale”.

Il Governo stabilisce la cornice normativa di riferimento e le Regioni decidono come modulare le prescrizioni in base all’andamento del contagio, alle caratteristiche socio-demografiche, al tessuto economico, alla natura delle attività produttive, alle strutture sanitarie e ad altre variabili. Non è certo la creazione di un assetto legislativo omogeneo, ma il riconoscimento alle Regioni di una maggiore autonomia decisionale, in linea peraltro con la riforma del titolo V della Costituzione che prevede competenze legislative concorrenti o esclusive.

Nella notte tra sabato e domenica scorsi Governo e Regioni sono stati ad un passo dalla rottura. A poche ore dalla conferenza stampa convocata dal premier per comunicare il contenuto del DPCM, varato in attuazione del decreto legge sulle riaperture, i governatori hanno protestato sulla questione della responsabilità dei protocolli di sicurezza Inail. Non essendo stato allegato al decreto il testo dell’intesa siglata il giorno prima, ovvero quello relativo alle linee guida unitarie elaborate dalle Regioni, ambiguità e vaghezza stavano per avere il sopravvento sulle esigenze inderogabili di chiarezza ed efficacia. Per fortuna, in zona cesarini, i protocolli regionali sono stati inseriti sia nel testo del DPCM sia negli allegati, rafforzando così la consapevolezza dell’immediata applicabilità delle disposizioni approvate. Il presupposto dell’intesa è stato quello di un’assunzione piena di responsabilità da parte dei governatori nell’attuazione della normativa quadro e di quella più specifica. La situazione che qui si sta mettendo in evidenza è interessante per due motivi. Il primo: perché riduce il caos normativo che avrebbe aggravato una situazione già esasperata dalle enorme difficoltà in cui versano imprese, lavoratori autonomi e famiglie. Il secondo: perché rimodula il rapporto tra comitato tecnico-scientifico e governo. È utile ricordare che il comitato è nato da un’ordinanza della Protezione civile e, dunque, senza alcun controllo da parte delle assemblee elettive. Chi scrive è convinto che, specie quando vi siano margini discrezionali, come accade nella Fase 2, la scienza si debba limitare a prospettare a chi esercita il potere esecutivo le soluzioni più opportune. Deve essere poi la politica a far sintesi tra interessi contrapposti, assumendosi la paternità e la responsabilità del proprio agire deliberativo, che non può in alcun modo coincidere solamente con l’agire comunicativo. Se così non fosse, lo scienziato sarebbe egli stesso un politico e tutto ciò andrebbe ad aggravare un quadro già reso precario dall’affievolimento del rapporto diretto tra elettorato attivo ed elettorato passivo, dalla crisi della rappresentanza e della governabilità che sono vulnus di molte democrazie liberali, dalla sostanziale sottovalutazione del ruolo del Parlamento. Quest’ultimo oltretutto avrebbe potuto convertire i decreti legge in Commissione (l’articolo 72 non lo vieta), limitando così l’uso dei DPCM. Insomma, per essere ancora più espliciti deliberare su basi scientifiche non significa far decidere agli scienziati.

Quella che qui si sta proponendo non è tanto un’argomentazione frutto dell’adesione incondizionata ad una cultura regionale rivendicazionista nei confronti dello Stato centrale secondo una linea immaginaria che divide da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, quanto l’adozione convinta del paradigma del pragmatismo amministrativo. Occorre evitare più possibile divergenze fra provvedimenti. Vanno respinti accavallamenti normativi, pur sapendo che ogni legge è il significato di un enunciato elaborato in funzione percettiva e che, quindi, la sua interpretazione ha come esito finale l’individuazione del precetto medesimo. La maggiore e migliore responsabilizzazione delle Regioni è un fatto importante anche per motivazioni partitiche, visto che le differenze geografiche coincidono con quelle politiche, come dimostra il dibattito sul regionalismo differenziato. Dopo l’atavica ed irrisolta questione meridionale, rischia di aprirsi anche una nuova questione, quella settentrionale. Il “decreto riaperture” incrocia il proprio destino con il “decreto rilancio”. Provvedimento che se non si trasformerà molto presto in strumento anti-recessione, difficilmente potrà assolvere alla funzione di contenimento delle disuguaglianze. I partiti, specie quelli di maggioranza, si ricordino ogni istante che fuori dai palazzi della politica c’è un virus che ha ucciso e continua ad uccidere, che fa perdere il lavoro, che costringe molte attività produttive alla chiusura, che disorienta e che alimenta rabbia oltre che paura, che comporta una perdita di dieci punti del Pil. Il tema non è quello di invertire l’onere della prova sul senso di responsabilità, né quello di scaricare sui governatori delle Regioni le colpe di quei risultati che non potranno essere raggiunti nella gestione su scala nazionale dell’emergenza economica e sociale. Questa è tattica e strategia politica di posizionamento congegnata per guadagnare posizioni nelle classifiche di gradimento o nei sondaggi elettorali. Il tema vero è un altro: è la scelta del modo migliore per risolvere i problemi più urgenti degli italiani. Rispetto a questo obiettivo è di certo più affidabile chi ha un modello amministrativo al quale ispirarsi e chi può giocare la carta del buon governo. Si tratta di una svolta che può essere agevolata anche abbandonando la parola “divieto” a beneficio della parola “regola”. Un termine più giusto ed opportuno, anche perché più compatibile con la stagione della responsabilità territoriale.

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