Se chi scrive si trovasse, per assurdo, al posto della cancelliera tedesca Angela Merkel, non esiterebbe un nanosecondo nell’accogliere la proposta italiana di emettere gli Eurobond. Non tentennerebbe per un attimo non già o non solo per silenziare le accuse di insensibilità sociale e di egoismo economico che piovono quotidianamente su Germania e Olanda, ma soprattutto perché forse è giunta finalmente l’ora di mettere le carte in tavola per vedere se, per caso, qualcuno stia barando, bluffando oppure facendo sul serio.
Intanto. Che cosa sarebbe un Eurobond? Sarebbe uno strumento finanziario emesso non da uno Stato, ma da Paesi dell’Unione Europea nel suo insieme. In sostanza: si metterebbe in comune il debito di più Paesi. Prospettiva che finora ha indotto gli Stati più virtuosi a respingere la proposta degli Stati più viziosi, anche perché difficilmente le popolazioni degli Stati con i conti in ordine avrebbero accettato di sottostare a prelievi fiscali e a sacrifìci vari pur di soccorrere le nazioni con i conti in disordine.
Ma se la Merkel non si trovasse nella fase declinante della propria carriera politica o se, sempre la Merkel, decidesse di lasciare a qualche spirito più coraggioso il timone della Germania, probabilmente il parto degli Eurobond incontrerebbe minori ostacoli (anche) da parte dell’opinione pubblica teutonica. Vediamo perché.
È vero che la mutualizzazione, la condivisione del debito, rectius dei debiti, piace poco o punto ai Paesi finanziariamente disciplinati, ma è altrettanto vero che il varo degli Eurobond comporterebbe in automatico una politica fiscale comune, proprio per ripagare i debiti. E una politica fiscale comune non potrebbe che essere improntata a princìpi di buon governo. Princìpi economici che, a loro volta, richiederebbero un’Unione politica europea vera e propria. E da chi sarebbero oggettivamente guidati gli Stati Uniti d’Europa se non dal solido panzer tedesco?
Insomma. Gli Eurobond diventerebbero una creatura politica, oltre che uno strumento finanziario. Forse (felix culpa) Matteo Salvini e Giorgia Meloni non se ne rendono conto. A loro sembra sfuggire il fatto che tifare espressamente per gli Eurobond formali (quelli sostanziali, come vedremo, sono già in atto) significa accelerare, inconsapevolmente, il processo di unità politica del Vecchio Continente, obiettivo che, invece, loro due contrastano senza se e senza ma. Sdoganati gli Eurobond, l’integrazione politica verrebbe a seguire, come l’intendenza.
Ecco, perché, al posto della Merkel, noi, nel dire sì agli Eurobond, chiederemmo sùbito di mettere le carte in tavola, allo scopo di smascherare un eventuale o un possibile bluff. Sì, perché chi dovrebbe pagare, chi dovrebbe garantire questi Eurobond? La Germania potrebbe permettersi il lusso di contribuire agli Eurobond con un tasso di crescita più alto della media europea. L’Italia, invece, dovrebbe sùbito scucire un bel pacco di quattrini (almeno una trentina di miliardi) che, di riffa o di raffa, dovrebbe rastrellare tra i suoi contribuenti. Ma siamo sicuri che un governo, di qualsiasi colore, varerebbe a cuor leggero una tassa (diretta o indiretta) per sostenere gli Eurobond? Siamo sicuri che Salvini e Meloni, ma anche lo stesso Conte, anch’egli determinato a ottenere gli Eurobond, sarebbero contenti di sottoporre gli italiani ad un altro esoso prelievo? Bah, ecco perché, al posto della Merkel, andremmo a vedere le carte, alla ricerca di un verosimile bluff.
Purtroppo la partita sugli Eurobond si gioca tutta sulla comunicazione, essendo metà terminologica metà pirandelliana. Metà terminologica perché Germania e Olanda sarebbero disposte a darci pure la luna, a condizione di non chiamarla Eurobond per non urtare la suscettibilità dei rispettivi elettorati. Viceversa, l’Italia sarebbe forse disposta a ottenere meno di quanto ha ottenuto nei giorni scorsi dall’Europa, che sta estendendo le emissioni in comune di titoli pubblici (in sostanza come gli Eurobond), purché riceva prossimamente il timbro formale di Eurobond. Maledetto formalismo giuridico e nominalistico, quanti danni si combinano in tuo onore insieme con i calcoli elettorali dei nostri sgovernanti.
Ma la partita sugli Eurobond è, anche, come detto, per metà pirandelliana perché vede su fronti opposti due schieramenti che, però, sugli Eurobond la pensano allo stesso modo: Salvini e Meloni da una parte, Conte e i Cinque Stelle dall’altra. Entrambe le squadre invocano giorno e notte gli Eurobond e guai a chi li invita a fare un paio di conti.
Si sa. L’opera di Luigi Pirandello (1867-1936) è quanto mai vasta e labirintica. È un cantiere sempre aperto, secondo il giudizio del critico letterario Giovanni Macchia (1912-2001). Ma, nel caso Italia-Mes-Eurobond-Germania-Olanda- Bce-governo-opposizione, anche l’inesauribile dualistico scrittore siciliano avrebbe perso l’orientamento e si sarebbe arreso gettando la penna contro il soffitto. Nessun filo d’Arianna, infatti, (lo) aiuterebbe a venire a capo delle affermazioni e delle negazioni che si rincorrono e si combattono nella politica italiana. Che otterrebbe dal vituperato Mes, dalla Bei, dalla Cassa integrazione europea (SURE), dalla Bce, dal prossimo Fondo per la Ripresa, molto di più, forse, di quanto otterrebbe dall’amatissimo e sospiratissimo Eurobond. Ma tutto questo il parttito trasversale anti-Europa non lo sa. O finge di non sapere che gli Eurobond reali ci sono già e, per giunta, costano molto meno degli Eurobond ufficiali.