«Le istituzioni vogliono aiutare davvero le imprese messe in ginocchio dal Coronavirus? Le pubbliche amministrazioni inizino a pagare i debiti che hanno nei nostri confronti». Giovanni Di Mauro, amministratore unico della Rinnoven Service srl, una piccola azienda barese che si occupa di ambiente ed energia rinnovabile, lancia una proposta-provocazione in realtà emblematica della crisi indotta (o aggravata) dall’emergenza Covid-19. Mentre di settimana in settimana a Roma va in scena il balletto delle cifre circa l’entità degli aiuti da fornire a titolari al mondo produttivo - l’ultima intesa trovata dal governo sul pacchetto liquidità alle imprese consente di liberare 400 miliardi in più rispetto ai 350 del cosiddetto «Cura Italia» -, da buon imprenditore, Di Mauro va sul concreto.
«Alle imprese non servono il finto assistenzialismo e le elemosine (che in realtà non lo sono, perché vanno restituite e con gli interessi e comunque hanno un costo per noi: commercialista, tempo, interessi passivi, commissioni), ma atti di correttezza contrattuale, come ad esempio, che gli Enti Pubblici pagassero alle aziende le fatture autorizzate e già emesse», incalza l’imprenditore barese.
Già, a quanto ammonta il debito delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle aziende? Certamente si parla di milioni di euro che giacciono nelle casse pubbliche in attesa di poter essere erogati. In realtà, l’emergenza pandemia che ha paralizzato il Paese ha fatto emergere una volta di più, difetti e deficienze più volte denunciate dal sistema produttivo nel rapporto con le pubbliche amministrazioni, ormai da tempo aduse a pagare fatture, forniture e appalti con notevoli ritardi. Non è una novità, è il paradosso indotto dal rispetto del cosiddetto patto di stabilità, in nome del controllo dei conti pubblici: il risultato è che gli Enti pur avendo soldi in cassa non possono versarli ai legittimi creditori ovvero le imprese che magari hanno fornito da mesi le prestazioni richieste. Ebbene, quest’ultimo legaccio è stato temporaneamente sospeso lo scorso 20 marzo.
«Sarò esplicito, molte aziende non hanno bisogno, almeno nell'immediato, di proclami populisti di 200-400 miliardi a disposizione di partite Iva e imprese, ma di incassare quanto gli spetta ed a seguito di lavori già eseguiti e dei quali si sono sostenuti tutti i costi», conclude Di Mauro.
E magari, oltre a scongiurare chiusure e pagare qualche stipendio in più, sarà possibile anche iniziare a programmare idee e strategie per l’auspicata ripresa. Alla faccia del Covid-19.