Provate a immaginare se oggi al posto degli attuali leader politici europei, si trovassero i governanti del passato, da Alcide De Gasperi (1881-1954) a Konrad Adenauer (1876-1967), a Robert Schuman (1886-1963), ad affrontare l’emergenza coronavirus. Di sicuro, l’Europa non vacillerebbe come una carrozza con le ruote traballanti, anzi quasi certamente la carrozza riprenderebbe a correre con più slancio di prima. E la crisi economica per la pandemia evolverebbe in opportunità.
È tutta una questione di leadership, di volontà politica, il futuro dell’Unione, anche se i ragazzi europei di oggi, assai più integrati dei loro padri, difficilmente permetteranno il dissolvimento dell’istituzione che ha scongiurato i conflitti armati negli ultimi 75 anni. E pensare che, per restare nella Penisola, l’Europa ha fatto solo del bene al Paese più ingovernabile, spendaccione e capriccioso del pianeta. Spesso lo ha fatto anche indirettamente, con la semplice evocazione della sua presenza.
Agli inizi degli anni Settanta l’allora presidente del Consiglio Emilio Colombo (1920-2013), di cui ieri ricorreva il centenario della nascita, si ritrova ad affrontare i primi seri buchi nei conti pubblici. Gli economisti concordano con lui: serve una politica di contenimento della spesa. Ma i socialisti si oppongono in nome delle riforme concordate nel programma di governo. Colombo che fa? Va a Bruxelles e suggerisce all’Europa di inchiodare l’Italia alla politica dei due tempi: prima il risanamento, poi le riforme. È il primo atto di quella teoria che successivamente avrà nell’economista Beniamino Andreatta (1928-2007) il suo aedo più riconosciuto: è un bene che sia l’Europa a costringere alla virtù un Paese cialtrone come il nostro.
Infatti. Racconta Francesco Cossiga (1928-2010) nel suo bel libro (altamente corrosivo), dal titolo (altrettanto mordace) Fotti il Potere, che alla vigilia della firma del trattato di Maastricht il governatore di Bankitalia Guido Carli (1914-1993) e il ministro degli esteri Gianni De Michelis (1940-2019) vanno al Quirinale per illustrargli i dettagli dell’accordo.
Al termine dell’incontro, il presidente della Repubblica, preoccupato, chiede a entrambi come avrebbe fatto l’Italia, solitamente refrattaria al rigore finanziario, a rispettare i patti. Risposta corale: «Con le nostre sole forze, assolutamente no, ma se non ci ancoriamo a un vincolo esterno non riusciremo a salvarci e continueremo a sprofondare nella voragine del debito pubblico». Chiosa Cossiga, senza giri di parole: «È stato allora che per salvarci da noi stessi abbiamo rinunciato volentieri alla sovranità monetaria.
Purtroppo, gli Stati nazionali non hanno voluto, e non vogliono ancora, cedere la sovranità politica, cosicché tutte le volte che scoppia un incendio (ultimo: il contagio del coronavirus), tutti litigano su chi, come, quando deve spegnerlo e sul perché (si) deve o non (si) deve salvare una casa che è comune solo in parte.
Un po’ di ripasso di storia non guasterebbe. L’Europa nasce per togliere i cannoni alle nazioni. In particolare a Francia e Germania, da sempre in guerra tra loro. Non a caso il primo mattone della costruzione europea si chiama Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio). Il francese Schuman ha le idee chiare: «Se noi togliamo agli Stati membri il controllo diretto del carbone e del ferro e lo mettiamo sotto un’autorità collegiale, sterilizziamo l’industria bellica nazionale col risultato che nessuno potrà più costruire cannoni senza il consenso degli altri e pertanto non potranno più farsi la guerra».
Ma se la Comunità è riuscita a scongiurare le guerre militari tradizionali, non ha potuto o saputo fare altrettanto per evitare contese in materia finanziaria, dato che resta tuttora valida la constatazione dell’inglese Margaret Thatcher (1925-2013): «Per tutte le nazioni la politica estera consiste nel fare i propri interessi».
Tra gli Stati del Nord Europa e gli Stati del Sud Europa non si parla la stessa lingua (economica). Come dimostrano le frequenti tensioni, nel Vecchio Continente, sugli strumenti da adottare per fermare i danni provocati dalla peste atterrata dalla Cina.
Eppure, nonostante tutto, nonostante i contrasti tra l’Europa del rigore e l’Europa della socialità, l’Europa cammina, sia pure a fatica. Non ci sono più i De Gasperi, gli Adenauer e gli Schuman, non ci sono più le super-svolte inclusive di una volta, ma la nave comunitaria va. L’accordo dell’altro giorno sulla strategia contro le conseguenze economiche dell’epidemia non sarà il massimo della solidarietà e della comprensione reciproca, ma rappresenta in ogni caso un passo avanti. Gli eurobond restano ancora un obiettivo da raggiungere, nonostante l’ostilità tedesco-olandese, ma l’intesa sui fondi esclusivi per l’emergenza virus non prevede «condizionalità» in campo sanitario, il che stava a cuore non soltanto all’Italia. Non è poco, il bicchiere è mezzo pieno.
Piuttosto. Il guaio di molti Paesi (quorum l’Italia), è la loro politica interna. In una condizione di normalità prescrittiva, la politica interna è al servizio della politica estera, che, insegnava De Gasperi, rappresenta la politica-politica. Invece, soprattutto in Italia, è la politica estera ad essere al servizio della politica interna, col risultato che molte possibili intese sovranazionali non vengono nemmeno esaminate a priori nel timore di reazioni negative, di zuffe parlamentari, di barricate da parte delle opposizioni domestiche. Se, poi, a questo mosaico parziale e congiunturale si aggiungono i tasselli anti-unitari a prescindere, vedi il caso degli attacchi all’Europa, il quadro delle difficoltà strutturali si completa da solo.
L’Europa non ha bisogno di tifosi. L’Europa ha bisogno di esseri razionali, che sappiano soppesare, valutare i pro e i contro di un tragitto unitario. La verità va cercata nei fatti. E i fatti dicono che quando l’Italia ha agito da sola nel mondo (amarcord il Ducione?), i disastri si sono collezionati uno dopo l’altro; e che, quando, invece, il Belpaese ha cooperato con altre nazioni, allora la sicurezza e il benessere sono decollati come un missile. Magari fosse possibile un’altra Europa, in versione Eldorado, ma l’alternativa non c’è. E, poi, da sempre la solitudine significa povertà.
L’euro-compromesso sulle misure anti-crisi non sarà un regalo di Pasqua per l’Italia, ma è un buona base di partenza, un augurio per una Pasqua e un’estate meno agitate. Speriamo.