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L’Italia furbona che lucra su meriti e virtù del Belpaese

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

De Tomaso da oggi in Rai  ricorda i giorni della Storia

Peccato che ci siano sempre due Italie. O forse più. Se tutta l’Italia fosse come la fascia dei medici eroi che hanno dato la vita per salvare i contagiati dal coronavirus, non ce ne sarebbe per nessuno al mondo

Giovedì 09 Aprile 2020, 16:10

Peccato che ci siano sempre due Italie. O forse più. Se tutta l’Italia fosse come la fascia dei medici eroi che hanno dato la vita per salvare i contagiati dal coronavirus, non ce ne sarebbe per nessuno al mondo.

Sia sul piano morale sia sul piano economico. Purtroppo, di Italie ce ne sono perlomeno due, e la seconda ridimensiona e a volte annulla le virtù della prima. L’Italia mascalzona, purtroppo, non va mai in vacanza (per i propri obiettivi), anche se risulta spesso in vacanza (a danno di altri e dello Stato). È l’Italia, quella della Razza Furbona, che inonda di certificati fasulli le aziende pur di non presentarsi in ufficio. È l’Italia che spera di lucrare vantaggi e benefìci da ogni emergenza. È l’Italia che ora chiede i 25mila euro a tasso zero, hic et nunc, in banca, pur disponendo di cospicui tesoretti.

È l’Italia che pretende di ritardare il pagamento delle rate dei mutui, pur essendo titolare di conti correnti milionari. È la solita Italia che, da sempre, cerca di trasformare ogni tragedia in una fonte di guadagno. È la solita Italia che dimentica di domandarsi chi pagherà il prezzo della propria spregiudicatezza. Sì, perché un conto è assicurare liquidità a chi ne ha bisogno, un conto è dover fare altrettanto per chi non ne ha bisogno.

Chi pagherà il surplus dei costi per il personale, per la struttura che dovrebbe elargire gli aiuti ai profittatori o ai nuovi «trivellatori di Stato», secondo la nota definizione appioppata da Luigi Einaudi (1874-1961) nei confronti di tutti gli affaristi che ottenevano sussidi pubblici per fantomatiche ricerche di idrocarburi nella Pianura Padana? Già, chi pagherà per gli imbrogli della Razza Furbona? Ci sarà un prelievo forzoso dai risparmi, come un tam tam virale inizia a immaginare? Ci sarà una patrimoniale degna di uno Stato di guerra-guerra perduta-perduta?


La classe di governo, però, dovrebbe sapere che l’Italia si divide in due categorie: i fessi che lavorano e i furbi che sfruttano i fessi. Colpire sempre i fessi, ossia coloro che sgobbano dalla mattina alla sera pagando tasse pazzesche, è sempre più ingiusto, immorale e diseducativo, oltre che autopunitivo (per l’erario). Bisognerebbe rendere più complicate le manovre dei furbi che, si sa, festeggiano le emergenze così come i baresi festeggiano San Nicola. Del resto molti conoscono un detto nazionale che non ha bisogno di esegeti specializzati: «Vento e tempeste, chi si spoglia e chi si veste». In tanti si vestono mentre altri si spogliano.

Ma il programma di stoppare i trucchi e le truffe della Razza Furbona non solo si rivelerebbe vasto e ambizioso, ma si scontrerebbe contro un muro di gomma, visto che, in Italia, i beneficiari dei saccheggi di Stato non sono quattro gatti, ma branchi di tigri insaziabili.

Ci si mette anche lo Stato ad agevolare i piani della Razza Furbona. Chi farà da fideiussore, prossimamente, a quei signori che, pur essendo nelle condizioni di sopportare il costo della crisi, avranno fatto sparire quattrini e patrimonio, pretendendo, alla fine, la garanzia statale? E contro chi scatterebbero gli eventuali decreti ingiuntivi: contro lo Stato fideiussore? Mai visto uno Stato che accusa o processa sé medesimo. Ergo: sarà il solito ignaro contribuente a saldare il conto.
Giusto assicurare liquidità alle imprese in difficoltà, meglio ancora, però, se la misura viene accompagnata da una parallela franchigia fiscale. Ma lo Stato non dovrebbe programmare spese che porterebbero il debito assai al di là del 150% (in rapporto al Pil) paventato dai migliori centri di ricerca. Una cosa è aumentare e concentrare la spesa pubblica su sanità e scuola, com’è giusto che sia. Un’altra cosa è scatenare, opporre ovunque la mano visibile dello Stato contro la mano invisibile del mercato. Non solo, non mancherebbero i quattrini necessari, ma la toppa si rivelerebbe peggiore del buco, come testimonia la storia recente dell’industria di Stato in Italia (scandali a parte). L’Iri ha funzionato (bene) fino a quando ha potuto disporre di straordinari fuoriclasse del calibro di Alberto Beneduce (1877-1944), Donato Menichella (1896-1984), Pasquale Saraceno (1903-1991), Sergio Paronetto (1911-1945) eccetera. Top manager che avrebbero vinto la Champions pure se avessero allenato il Chievo, e che tenevano a cuccia la politica (smaniosa di interferire), così come i domatori del circo fanno con i leoni.

Quei nomi erano eccezioni. La verità la colse don Luigi Sturzo (1871-1959) quando osservò che, in Italia, lo Stato non è neppure in grado di gestire la bottega di un barbiere, figuriamoci il resto. Infatti, ci esaltiamo con l’estensione del golden power, cioè con l’altolà ai compratori di aziende italiane (pubbliche e private). Ma non dovrebbe essere il contrario? Non dovremmo favorire chi investe da noi, fatta eccezione per i settori delicati e strategici che toccano la sicurezza dello Stato? Fra l’altro, già ora, dalla Fiat all’Ilva, i principali gruppi nazionali sono in parte o tutti di proprietà straniera.

Lo Stato italiano, poi, è così maldestro da non essere nemmeno in grado di far rispettare i provvedimenti da lui stesso emanati. Vedi il caso ultimo delle edicole. Parecchi sindaci, in barba al decreto che stabilisce l’apertura di farmacie ed edicole, vanno in orgasmo quando firmano le ordinanze con la chiusura dei punti vendita dei giornali. Non vedono l’ora di vietare, vietare, vietare. E se dipendesse da loro, vieterebbero a oltranza ogni altra attività economica.

Ecco. Vorremmo un Paese in cui qualcuno si facesse carico delle ragioni dell’Italia che lavora fino all’estremo sacrificio e fermasse i propositi, cioè gli spropositi, dell’Italia che non lavora, di quell’Italia che intercetta provvidenze immeritate, e che non rispetta neppure le norme varate da uno Stato in uno stato emergenziale.


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