Cominciamo con una domanda. In che cosa consiste la percezione individuale di un rischio? Volendo andare al cuore del problema, si può rispondere facendo riferimento alla rappresentazione mentale che ciascuno di noi fa di ogni eventualità di pericolo e di ogni possibile interruzione delle a abitudini quotidiane. Si potrebbe anche sostenere che si tratta dell’obliquità della scoperta dell’anormalità, della prospettiva dell’imprevedibilità e dell’irregolarità, della consapevolezza di essere pervasi da un senso di insicurezza e da una sensazione di indeterminatezza che quasi sempre fanno evolvere la paura in angoscia.
Il rischio può derivare da due situazioni diverse. Può derivare dal comportamento dell’uomo ed in questo caso comporta come corollario la segnalazione dell’adozione da parte di singoli o della collettività di atteggiamenti irresponsabili (in quanto tali sanzionabili), ma anche dai capricci della natura, quando e se essa non è controllabile o controllata dalla cultura. Ipotesi quest’ultima che genera senso d’impotenza e presa d’atto della vulnerabilità del genere umano.
Ripartire da queste considerazioni di carattere generale aiuta a comprendere quello che sta accadendo a seguito del tentativo del governo di fronteggiare la diffusione del contagio da Covid-19. Parlare di percezione dei rischi significa affrontare il tema delle modalità con cui viene raccontata l’epidemia in tutte le occasioni nelle quali avviene uno scambio d’informazioni. Nel linguaggio scientifico gli studiosi della costruzione e ricostruzione di ambienti simbolici parlano di “dispercezioni negative” quando si registra una crasi tra percezione e realtà. Contraddicendo le evidenze raccolte finora dalla scienza, che in queste ultime settimane ha recuperato la sua funzione sociale, molti si comportano in modo irrazionale, come se questo virus fosse associato sempre e comunque ad un alto rischio di mortalità. Altri si comportano in modo irresponsabile. Ciò che si deve assolutamente evitare è vivere di eccessi: la sottovalutazione e la sopravalutazione di tutti i pericoli connessi a quella che in queste giornate possiamo definire la “società del rischio” sono due facce della stessa medaglia. Si tratta dell’evoluzione naturale della società dell’incertezza, di cui ha parlato Bauman con riferimento alla presenza di condizioni che respingono la stabilità e che affondano le proprie radici nell’elevato tasso di individualismo. Uno scenario che comporta la necessità di evitare pericoli di “de-istituzionalizzazione” della gestione della crisi e che rende ancor più evidente il vantaggio di una visione strategica e chiara, di una direzione di marcia precisa. L’esperienza nella gestione delle emergenze, alle quali il nostro Paese è stato costretto più volte in questi decenni, ci suggerisce di non procedere per tentativi e di intraprendere con convinzione una strada, percorrendola fino in fondo. Il nuovo decreto del governo, firmato dal premier Conte nella notte tra sabato e domenica scorsi, potrà anche non piacere, potrà anche essere non chiaro in alcuni passaggi (come qualche governatore regionale e qualche sindaco ha evidenziato), ma essendo stato deciso dalla massima espressione del potere esecutivo va attutato nello spirito di collaborazione e rispetto delle differenti competenze amministrative. Farebbe bene il governo a coinvolgere di più le opposizioni nella stesura dei provvedimenti affinché gli stessi siano e appaiano come il risultato di un di concerto non solo con le parti sociali ma anche con chi la pensa in modo differente. Perché la direzione di marcia venga percepita e non dispercepita come univoca, occorre evitare che si ripetano episodi come la fuga di notizie che ha contraddistinto la pubblicazione degli ultimi provvedimenti. All’auto-responsabilità dei cittadini, compresi quelli che sono ritornati nelle ultime ore al Sud (si mettano subito in auto-isolamento, evitando di diventare vettori del contagio in quelle realtà ancora non in emergenza!), deve accompagnarsi la responsabilità di tutti i soggetti istituzionali.
Il tema assume una certa rilevanza quando si parla di comunicazione pubblica. Sono tre i piani su cui agire: quello della prevenzione che riguarda le zone non ancora sottoposte a contagio o quelle dove il contagio è più contenuto; quello dell’emergenza, in questo momento corrispondente a gran parte del Nord, con l’intento di curare e guarire i malati di coronavirus; quello della post-emergenza. Dobbiamo evitare che all’allerta sanitaria se ne associ un’altra: la sostituzione della “comunicazione del rischio” da parte del “rischio della comunicazione”. Condizione quest’ultima che si verifica, oltre che con la fuga di notizie, quando la quantità d’informazioni diventa eccessiva, quando le notizie sono contraddittorie e non verificabili, quando i provvedimenti vengono anticipati prima che essi siano formalmente e definitivamente assunti, quando non si tengono nel giusto conto gli effetti indiretti oltre che quelli diretti. Le istituzioni devono essere le fonti uniche della comunicazione di rischio e le artefici del news management. E ciò per contrastare la prospettiva dell’info-simulazione, ovvero del primato delle interpretazioni sui fatti.
Occorre evitare contraddittorietà e frammentazioni, riconducendo tutto il flusso informativo in uscita ad un unico ufficio e ad unica figura. Più comunicazione istituzionale e meno comunicazione politica. Meno parole e più controlli per far rispettare a tutti le disposizioni. Il momento è utile per rivedere quello che non va e rafforzare ciò che va. Rientra nella prima categoria, per esempio, il rapporto tra Stato e Regioni a metà strada tra autonomia e coordinamento, ma anche il digital divide. Rientra nella seconda categoria, invece, il modello di welfare. Modello che trova concretizzazione anzitutto nell’universalità del nostro servizio sanitario nazionale.
La società del rischio si guida così, contenendo oltre i pericoli di un ulteriore allargamento del contagio anche quelli legati alla gestione della percezione del fenomeno e alla riduzione delle conseguenze della crisi economica. La politica deve fare la sua parte in modo diverso. Nulla sarà più come prima. I cittadini saranno influenzati dal modo in cui maggioranza e opposizione si stanno comportando davanti a quest’emergenza, dal modo in cui l’Europa si sta relazionando con gli Stati membri e dalla disponibilità di tutti a ricercare un fronte comune di programmazione e di azione, senza egoismi e particolarismi. Il tasso di pragmatismo da riservare a chi potrebbe perdere il lavoro o a chi potrebbe chiudere la propria attività imprenditoriale o da libero professionista farà la differenza. L’emergenza da coronavirus rappresenterà uno spartiacque tra il recente passato e il futuro. Un futuro che oggi ci fa paura perché si presenta incerto e imprevedibile.