Il centrodestra prigioniero del «gioco della melina» per le regionali pugliesi. La citazione ha origini popolari: richiama il gioco bolognese di passare il cappello tra guasconi sulla testa del legittimo proprietario. Nel calcio è la formula con la quale si descrivono continui passaggi che servono sostanzialmente a congelare lo status quo. La melina annoia di solito il pubblico (e gli elettori). E così il fronte conservatore locale attende impaziente l’indicazione del candidato governatore per le elezioni di primavera ma a Roma non è ancora in agenda l’incontro tra i leader Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Nei giorni scorsi c’era stata una richiesta di summit avanzata dall’ex ministro del Carroccio Gian Marco Centinaio, che auspicava una riunione per sciogliere i nodi delle contese di primavera. All’appello, secondo alcune ricostruzioni romane, avrebbero risposto positivamente sia i meloniani che i berlusconiani, ma gli incastri tra le agende dei leader non combaciano mai. E alcuni ben informati dicono che le disponibilità di Salvini non sarebbero affatto esaustive.
In via della Scrofa, storica sede del Msi tornata «casa» di Fdi, le bocche sono cucite. Idem tra i leghisti. Sono allora le indiscrezioni a fornire un quadro (parziale) della contesa in atto: la destra rivendica il valore del «patto del Copasir» (commissione parlamentare assegnata al leghista Raffaele Volpi) in base al quale si assegnava alla Fiamma la Puglia e le Marche. Forza Italia difende, per lo stesso principio, la nomination di Stefano Caldoro in Campania. La Lega, invece, chiede una discussione globale e sulla Puglia non molla.
La sfida pugliese diventa così cruciale: per Fdi è il perimetro nel quale - con Fitto candidato governatore - superare per la prima volta l’alleato sovranista, in nome di un allargamento rassicurante e alla sintesi tra postmissini e conservatori; per i salviniani diventa il laboratorio nel quale rivendicare il primato elettorale e di sperimentazione delle formule governiste che hanno fatto la fortuna del Carroccio nel Nord Italia. La Meloni sente il vento nelle vele di Fdi e inizia pregustare il ritorno della centralità della destra sulla scena meridionale; Salvini - che in Calabria non ha sfondato come alle Europee - punta a una nuova avanzata per tenere sotto controllo i mugugni (per ora marginali) dei nostalgici bossiani che rimpiangono la Lega che non superava il Po. Del resto se, come prefigura il sondaggio del Pd nazionale sulle regionali, Fdi fosse distante solo due decimali dalla Lega in Puglia, la regione potrebbe anche diventare il simbolo di una destra a vocazione maggioritaria dopo la traversata nel deserto post Pdl.
Dopo le divisioni dell’area conservatrice nelle ultime due consultazioni regionali, però, ogni partner della coalizione fa giuramento di fedeltà all’alleanza e scongiura divisioni. La Lega, non a caso, rivendica anche un dialogo aperto con Adriana Poli Bortone, nelle recenti comunali di Lecce in campo contro il centrodestra.
In serata Salvini, da Foligno in provincia di Perugia dove è in campagna elettorale per elezioni politiche suppletive, fa sapere che «per le Marche ci siamo quasi». Il primo tassello (con il via libera al deputato Fdi Francesco Acquaroli?) potrebbe determinare una accelerazione nelle altre piazze. Questa è la speranza dei quadri dei tre partiti nei territori. Ma sullo sfondo resta la melina e la circolazione circolare e ripetitiva dei palloni, con la fissazione della data dell’incontro tra i capi nazionali che passa in un istante da imminente e rinviata a data da destinarsi.