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E basta con gli auguri fatti col copia e incolla

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

E basta con gli auguri fatti col copia e incolla

Gli auguri che dovrebbero scaturire dal sincero accento di affetto e di solidarietà, diventano il prodotto di una automatismo frigido e falso

Domenica 29 Dicembre 2019, 16:00

17:25

I nostri barbieri «di una volta», a Natale, davano una ripulita al Salone e con qualche rustico abbellimento di vetrine e specchi. I più attenti sostituivano con tovagliolini di carta le schedine del totocalcio abitualmente usate per nettare del sapone appena raccolto sulle guance di clienti con il lascito dei peluzzi rasati meticolosamente nella ritualità delle domeniche.

I più altolocati «saloni» con organico di rispetto e, cioè, due artisti primari alle poltrone, un comprimario per le barbe dei giovani e un ragazzino figurante per «la spazzola» finale sul paletot degli avventori generosi di mance natalizie, esibivano addirittura un presepio illuminato tra le specchiere. La grotta ruvida di santa sobrietà finiva per odorare di dopobarba e le sue figurine facevano uno strano contrasto tra la picaresca spettacolarità di carta stellata e pastorelli e lo shampoo con lozione.

Molti tra i maestri parrucchieri e titolari di Saloni altezzosi di insegne liberty, non lesinavano sulle spese e regalavano ai clienti piccoli calendari illustrati le cui pagine erano tenute insieme da cordine vellutate. Il repertorio iconico variava a seconda del piglio editoriale: si andava dagli itinerari turistici della «magnifica città di Napoli» e la serafica sequela della vita di San Francesco con svolazzi pittorici sul discorso agli uccellini e ramanzina al lupo di Gubbio, fino alle immagini di donne fatali scollacciate nel policromo quadretto, reggendo la pagina del mese con allusive immagini di frutta e verdura.

Bambino, lucravo di quel regalo da uno zio di larghe vedute, mi incuriosivo, guarda un po’, di quest’ultimo repertorio e mi lambiccavo nel tentativo di cogliere il nesso stagionale tra la lingerie esigua e le espressioni tentatrici e i giorni di quell’almanacco. Il contrasto tra questi omaggi maliziosi e l’allestimento natalizio erano evidenti, ma mi piaceva. Guarda un po’.
Tuttavia, l’intenzione di spicciola religiosità popolare trascendeva il contrasto tra quel luogo deputato alle minuscole vanità maschili e la missione simbolicamente salvifica del Presepio.

Gli esercizi più modesti si accontentavano di formulare pensieri augurali: ostentavano sugli specchi, per la clientela, una scritta fatta di lettere ricavate da arzigogoli bianchi di ovatta, appiccicati con la colla che porgeva gli auguri di principale e lavoranti a tutti coloro che sceglievano il salone. E questo era tutto, sufficiente a garantire gli spiccioli agli aiutanti. Un messaggio per frequentatori noti e abituali, ma, anche, passanti e clienti occasionali.

Quello che si chiama, nella teoria della comunicazione, un messaggio unidirezionale a percettori teoricamente innumerevoli. Come sono la radio e la televisione quando non si coniugavano con l’uso del telefono. Il telefono era un mezzo che garantiva una comunicazione bidirezionale tra due soli interlocutori, ma, oggi, con l’intelligenza artificiale e con la connessione instancabile, è diventato un mezzo che permette una comunicazione pulviscolare: da uno a tutti e tutti per uno. Sotto le feste questa potenzialità si manifesta in maniera esplosiva ed è aiutata da facilitazioni tariffarie che consentono una esplosione spaventosa del traffico dei messaggi scritti. Chiunque può, con sforzo esiguo, a volte con un semplice pigiare di un pulsante, inviare a tutti i titolari dei numeri custoditi nella rubrica lo stesso messaggio. Nel caso delle feste, lo stesso striminzito e stucchevole pensierino. I più pratici riescono a tagliare dall’indirizzario i numeri di enti, società, creditori e nemici giurati, ma molti trascurano questa misura e fanno di tutt’erba un fascio di destinatari che vengono, così, gratificati di auguri da persone di cui possono aver smarrito ogni ricordo. C’è chi manda gli «affettuosi auguri a te e famiglia» al radiotaxi, a persone defunte, all’Inps, alla Asl, a nemici giurati, a ex fidanzati ormai sposati con figli, alla badante ucraina dello zio. Trovo che questa abitudine sia orribile e micidiale. Personalmente sono perseguitato da messaggi di questo tipo. I più ridicoli sono quelli che manifestano accenti retorici e indulgenze letterarie, nonché quelli con le battute di spirito o quelli in rima. Insopportabili quelli con i doppi sensi: per la befana vi lascio immaginare cosa siano capaci di articolare con la parola scopa. Terribili e zuccherosi gli allegati di filmati e colonne sonore frutto della inutile fatica di improvvisati videomaker petulanti e disoccupati.

Questa moda è il massimo del minimo della buona educazione: gli auguri che dovrebbero scaturire dal sincero accento di affetto e di solidarietà, diventano il prodotto di una automatismo frigido e falso che è attivato solo dalla facilità di uso del mezzo che, a sua volta, facilita operazione nate, al contrario, per essere il frutto di un atto preciso di volontà che qualcosina doveva pur costare. Magari solo l’acquisto del francobollo, lo spremersi le meningi per far partorire alla fantasia un pensiero originale, l’esercizio minuscolo della calligrafia, la spedizione tramite l’andare a imbucare la cartolina o il biglietto. O lo scrivere con l’ovatta gli auguri sugli specchi della barberia. Si accertava, così, una certa selezione naturale che restringeva molto l’agenda dei destinatari e non accentuava le tendenze ipocrite e le bugie. Se, poi, la voglia è quella di augurare a tutto il mondo la pace di Dio e dare all’umanità la buona notizia della nascita del bambino Gesù come annuncio di salvezza, lasciamo perdere il telefonino con la sua rubrica e i convenevoli «copia e incolla» e andiamo a trovare un vecchio solo, una creatura abbandonata a diversa ragione in questa immane città della comunicazione e facciamo a loro l’augurio di pace e di salvezza e, magari portiamoceli a casa. Impariamo dall’angelo svolazzante sulla grotta, postino di un impareggiabile messaggio unidirezionale a tutti, nessuno escluso dalla rubrica del Padreterno: «Pace in terra agli uomini di buona volontà». Facciamo il piccolo sforzo di voler bene senza liberarsi dai sensi di colpa schiacciando un pulsante.

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