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Ma Il mio «scandàt» è sempre più «scandàt»

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

E con «SpaccaBari» la città è un presepe

«Usckandate» è un personaggio del Presepio. In Puglia e a Bari il termine dialettale «u scand» somiglia all'italiano scandalo che tutti sappiamo cosa voglia dire

Domenica 22 Dicembre 2019, 17:24

18:02

Mentre sistemo l'ultimo pastore nel Presepio faccio caso a non allocarlo né troppo vicino né troppo lontano dalla mangiatoia fatidica e a metterlo nella luce della stella annunziante. Ecco fatto, l'opera è compiuta con tutti i crismi di pecorai, contadini, lavandaie, pastorelle di oche, nutrici, Magi e pescatori. Non mancano il dormiente e il venditore di caldarroste e l'angelo annunciatore di pace. L'ultimo personaggio che ho fatto entrare in scena é il girovago spaesato che allarga le braccia di fronte al nuovo sole invitto: lacero e scalzo si presenta a mani vuote davanti alla grotta.

«Usckandate» è il pastore che sta impalato di fronte alla capanna, con le braccia alzate, il capo scoperto, il volto estatico e gli occhi sbarrati a guardare il miracolo.

L'espressione del volto che generazioni di scultori, cartapestai, ceramisti, pupari, cesellatori di creta hanno tramandato è quella estatica dello stupore attonito, della meraviglia svagata e sognante, della fede bambina che accoglie la rivelazione direttamente nel cuore. Sta lì a lasciarsi scandalizzare soavemente dall’ineffabile, illuminato virtualmente dai raggi della stella cometa: sckandate, appunto.

Questa espressione confina, nella delicata semiotica ricamata dalla mano artigiana, con quella dello spavento, dell'interrogativo che traluce da quegli occhi sbarrati, dalle braccia spalancate che abbracciano le stelle e la stalla dove luce di mistero e realismo ingenuo si combinano nello spettacolo immane di quella scena primaria che racconta dell'alleanza ritrovata tra Dio e uomini. Non male come spettacolo e il pastorello stupefatto non crede ai suoi occhi spalancati e assume la smorfia che sembra di paura improvvisa, di sorpresa guardinga, tanto da guadagnare il soprannome dialettale di "u scandàtt", lo spaventato.

Il nostro dialetto traduce con «sckando» la paura improvvisa, quello spavento repentino che coglie all’improvviso e lascia sgomenti e allucinati con gli occhi sbarrati.

San Francesco semiologo, cui universalmente si attribuisce la prima edilizia presepiale, certamente ha voluto in ogni figura iconizzare le varianti delle emozioni umane di fronte alla greppia santa, nella notte fatidica: ed ecco la semplice donazione di primizie, il trepidante sacrificio dei lattonzoli, il balbettio d’una preghiera nuova, l’accorrere speranzoso dei diseredati, la solerzia dei pastori, l’accorrente curiosità dei maghi. Un mondo, certo, simbolico, una preghiera plastica e vivacissima che comprende, appunto, il mio prediletto: «U sckandate», colui che si lascia scegliere, travolgere, intimorire, affascinare. Non sta lì, davanti alla grotta a discettare e distinguere. Il suo stupore convoca le stelle a pronunciarsi, gli uomini ad inchinarsi, il mondo tutto a trattenere il fiato di fronte al compiersi della promessa: il più povero dei poveri, il più umile tra gli umili nasce uomo per mantenere la promessa. E «U sckandate» è attonito col suo cuore di terracotta che gioisce. Non sa leggere, lui, ma sa benissimo che su quel cartiglio che s’illumina sulla carta colorata, in mezzo al muschio rinseccolito, tra i batuffoli di neve, sta scritto «Gloria a Dio nel più alto dei cieli». Cieli irraggiungibili anche solo con la fantasia e cieli lontanissimi per un povero Cristo che abita la periferia dell’impero. Ma lui sa far arrivare la sua voce che prega in una lingua incomprensibile e, perciò, perfetta per pregare, e il suo sguardo attonito che vale più d’una giaculatoria fino all’attenzione di quel Cristo piccolo che tanto gli assomiglia. E «U sckandate», che non sa leggere, sa che su quel cartiglio legato col filo per cucire alle manine sbrecciate degli angioletti sta scritto anche «Pace agli uomini di buona volontà». E lo sanno anche la lavandaia, il pescatore, il guardiano di porci, i cammelli, le galline, il negretto con gli ananas, la fruttivendola, i viandanti, le papere sullo specchio, lo sanno bene pecore e agnelli. Lo sanno perfino i lupi che, quando sono animali, riescono anche a dialogare con i Santi.

Forse non lo sa, o non si cura di saperlo, quello lì immerso nel sonno all’ombra d’un palmizio di cartoncino verde e marrone. C’è in tutti i presepi il dormiente. Dorme il sonno beato del negligente. Il suo sonno è simbolico, è il sopore della ragione neghittosa. Gli scolastici definiscono come «neglegentia» un peccato che consiste nel non scegliere (dal latino "nec-eligo").

Oggi, motteggiando, si allude a questa renitenza a scegliere dicendo «Non so, non c’ero. E, se c’ero, dormivo».

Quanti di questi dormienti ritroveremo, poi, in un’altra sacra rappresentazione, quella del giorno delle Palme che prelude al Calvario, ad osannare il Signore prima di crocefiggerlo? In quella Gerusalemme, nella turba, non ci sarà «U sckandate».

Dicevo che tutti sanno in Puglia e a Bari segnatamente cosa sia «u scand». Il termine dialettale somiglia all'italiano scandalo che tutti sappiamo cosa voglia dire. E sappiamo che, piuttosto che dare scandalo, soprattutto ai bambini, meglio farebbe il farabutto a legarsi una macina di pietra al collo e a buttarsi nei flutti del mare. E in greco, se non ricordo male, «scandalon» era la pietra in cui si inciampava. Lo stupore dei pastori che siamo noi, cittadini di presepi metropolitani, così lontani dalle luci del buon annuncio, è proprio quello della paura, del disgusto, dell'ansia per il futuro. È l'espressione incredula che ancora non si smette di rubare, di corrompere, di farsi corrompere, di considerare il bene comune e la giustizia sociale non come fine della politica, come traguardo di tutto l'operare saggio e meditato del lavoro e del legiferare, ma corsa al posto di comando, occupazione delle stanze del potere. E dei palazzi delle banche fedifraghe e ladrone. E tutti vanno alla Capanna, si, ma per saccheggiarla. Ecco perché il mio «scandàtt» quest'anno mi sembra più preoccupato degli altri anni. Forse ha letto i giornali.

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