Chi trova un amico trova un tesoro. È un consiglio universale, valido dappertutto. Tranne che in politica. In politica (quasi sempre) è vero il contrario. In politica chi trova un nemico trova un tesoro. Non c’è bisogno di scomodare i mega-pensatori che, sulla scia dei testi di Niccolò Machiavelli (1469-1527), hanno riempito le già cospicue biblioteche del realismo politico. Più l’hostis, il nemico, è percepibile, o fortemente caratterizzato, più si rafforza l’identità, la caratura del suo (aspirante) antagonista. Accade così in tutto il mondo: più il nemico è temibile, più salgono le quotazioni e l’immagine di chi si propone di sfidarlo.
Veniamo a noi. Ieri era Silvio Berlusconi il catalizzatore di amici e nemici. Gli amici del Cavaliere non concepivano una coalizione, o una prospettiva politica, che prescindessero da lui.
I nemici del Cavaliere spesso si detestavano più dei due piloti (Vettel e Leclerc) della Ferrari, ma la condivisione del nemico li portava a convivere in un unico caseggiato, il cui capo condomino, ovviamente, traeva beneficio e giovamento dal rappresentare l’Anti-Berlusconi. Romano Prodi seppe interpretare al meglio questo ruolo, tanto è vero che per due volte riuscì a soffiare Palazzo Chigi al capo del centrodestra.
Oggi, il catalizzatore di amici e nemici si chiama Matteo Salvini. La politica italiana si divide tra filo-salviniani e anti-salviniani, che poi sarebbe tra sovranisti e anti-sovranisti. Appare singolare che il perno divisivo corrisponda al capitano della principale forza di opposizione, e non al leader della maggioranza di governo, come succedeva una volta. Ma gli ultimi exploit elettorali della Lega, uniti a una linea politica (quella del Carroccio) sempre all’offensiva (su immigrati, pensioni, Europa...) hanno reso possibile questo cambio di paradigma, come si usa dire adesso.
Di conseguenza, indipendentemente dalle cariche istituzionali ricoperte, oggi la qualifica, la patente più ricercata, è lo status di Anti-Salvini. Chi si aggiudica questo titolo mediatico, che nell’era dei social vale più di dieci vittorie congressuali, è già a metà dell’opera: sia se vuole scalare posizioni su posizioni nell’agorà nazionale; sia se vuole portare foraggio elettorale alla propria fattoria; sia se vuole creare le premesse per conquistare i gradi di sfidante della figura salviniana.
Il più lesto a comprendere questo scenario si è rivelato Giuseppe Conte. Pur non provenendo dai ranghi del professionismo politico tout court, il presidente del Consiglio ha dato una dimostrazione di prontezza di riflessi del tutto insospettabile in un tecnico approdato da poco nelle stanze dei Palazzi. Il durissimo discorso di addio a Salvini, pronunciato in Aula nonostante il dietrofront tentato dall’allora ministro dell’Interno e vicepremier, ha lasciato intendere una cosa grande e visibile quanto una casa: non perdete tempo, l’Anti-Salvini sono io. Infatti, nel giro di pochi giorni, Conte ha allestito una Triplice Alleanza contro il suo ex socio di governo che manco il più immaginifico dei commentatori politici avrebbe osato prevedere, oltre che ritenere possibile.
Ma Conte non si è fermato, né pensa di accontentarsi dei baci e dei fiori quotidiani, come accade ai ciclisti che sanno vincere solo una tappa, ma non il Giro d’Italia. Conte vuole andare avanti senza esitazioni nella strategia anti-leghista, tanto è vero che non perde occasione per sbertucciare, o direttamente o indirettamente, l’ex alleato Matteo. L’obiettivo è chiaro: non importa con quale legge elettorale si tornerà a votare, né quali saranno i rapporti tra M5S e Pd, in ogni caso il candidato numero uno per contrastare Salvini e le sue truppe sarò io, Giuseppe Conte. Altro che nuovo partito da me guidato. Il mio disegno è assai più ambizioso.
Ma c’è un altro Matteo che vuole contendere al professore di Palazzo Chigi l’etichetta di Anti-Salvini: Renzi. Renzi non è fesso. Sa, il fondatore di Italia Viva, che se concentrerà i suoi fulmini sul conducente del Carroccio, potrà rimodulare la propria immagine e ri-sperare in un ruolo di prima fila per le cariche più importanti del Paese. Se, invece, alimenterà la guerriglia contro l’attuale esecutivo, difficilmente, Renzi, sfuggirà all’accusa di aver organizzato la scissione del Pd per esclusive ragioni e finalità di rappresaglia. La qual cosa non lo aiuterà nell’operazione in cui era specialista un altro toscano dal carattere ultrafumantino: il dc Amintore Fanfani (1908-1999). La manovra in cui brillava l’aretino Fanfani era la resurrezione. Resurrezione politica, si capisce.
Ecco. Tutto si può dire di Renzi tranne che sia un tipo moscio. Ha capito che l’area dell’anti-salvinismo è assai estesa e che va occupata in fretta soprattutto nei posti di comando, anche a costo di urtare la postazione (anti-salviniana) di Conte.
Morale. Se Renzi darà grattacapi a Conte, non sarà sulla tenuta del centrosinistra o del governo, ma sulla rivalità, sulla competizione, tra loro due, per il rango di principale Anti-Salvini (Renzi si è portato avanti nel lavoro, con il duello tv col leghista, prossimamente da Vespa). Primo assaggio di questa rivalità: l’Iva. Conte non poteva consentire, infatti è già intervenuto, che l’imposta aumentasse. Uno, perché avrebbe fatto un favore a Salvini che, un minuto dopo, avrebbe scatenato le piazze. Due, perché avrebbe fatto un assist indiretto a Renzi che, proprio sul disinnesco del caro-Iva, aveva basato il suo sì all’incrocio con i grillini.