Quando la Lega (Bossi) era regionalista il suo nemico era l’Italia. Ora che la Lega (Salvini) è nazionalista, il suo nemico è l’Europa. Quando la Lega era regionalista avrebbe di sicuro premuto per la secessione dallo Stato centrale pur di non far perdere, alla Padania, l’appuntamento con la moneta unica. Ora che la Lega è nazionalista, alcuni suoi quadri non fanno mistero di tifare per la fuoriuscita dal club dell’euro e di conseguenza anche dal circolo dell’Unione.
Matteo Salvini è il primo a sapere che, senza l’Europa, la nave Italia si ritroverebbe a rischiare il naufragio, come un vascello nell’oceano in tempesta. Infatti, il Capitano leghista esclude di voler uscire dall’euro. Ma sa, Salvini, che oggi l’indice di popolarità dell’Unione non è al top, di conseguenza gli serve assecondare la battaglia su un tema (l’anti-europeismo) che, insieme con l’offensiva sull’immigrazione, garantisce alla Lega copiosi raccolti elettorali.
La verità è che parecchi italiani «sparano» sull’Europa perché non vogliono fare i conti con la realtà e, soprattutto, perché sono refrattari a un serio esame di coscienza. Di chi è la responsabilità, di chi è la colpa se il Belpaese subisce una procedura di infrazione (per debito eccessivo) da parte dell’Europa, procedura che, se dovesse sfornare un cartellino giallo, comporterebbe l’impossibilità, per l’Italia, di continuare ad approfittare della «generosità» di Francoforte, ossia del sostegno «liquido» da parte della Bce? E tutti sanno che senza l’ombrello della Bce, i mercati infilzerebbero senza pietà il Belpaese, come può succedere a tutti i soggetti con l’acqua alla gola.
Gli anti-europeisti sono convinti, e lo ripetono sempre a chiare lettere, che la colpa sia dell’Europa, dei suoi vincoli eccessivi, del fatto che l’Europa antepone la stabilità alla crescita, il rigore alla flessibilità.
Ma se così fosse non si capirebbe perché diversi Paesi, anzi tutti i Paesi continentali, viaggiano a un ritmo più veloce di quello italiano. Se le regole fossero sbagliate o sconclusionate, la ripresa economica sarebbe un miraggio per chiunque. Invece, c’è chi corre, c’è chi sta fermo e c’è chi arranca. Persino quei popoli mai associati all’immagine di fulmini di guerra avanzano a ritmo più sostenuto, vedi i portoghesi e i greci.
Tutto ruota attorno a una parola fatidica: debito. Gli italiani dimostrano di non avere alcuna intenzione di affrontare la causa numero uno dei loro problemi. Somigliano a quei signori in sovrappeso che ignorano i consigli dei medici a moderarsi a tavola, attribuendo l’origine della propria pinguedine alla (presunta) montante alterazione dei cibi.
Ma che colpa ha l’Europa se la classe politica italiana ama legiferare in deficit? Che colpa ha l’Europa se l’età pensionabile, in Italia, anziché allungarsi tende ad accorciarsi? Che colpa ha l’Europa se in Italia si finanzia l’assistenza e non lo sviluppo, se si rastrellano quattrini per acquisire il consenso e non per promuovere investimenti? Che colpa ha l’Europa se in Italia trovano udienza teorie bislacche, tipo quella secondo cui i posti di lavoro sono a numero prestabilito, per cui se un dipendente va in pensione un giovane disoccupato gli subentrerà in automatico? Dove sta scritto che funzioni così l’economia? In un’economia libera, invece, i posti a tavola non sono mai fissi perché la torta può crescere (o decrescere) a dismisura. Tutto sta a farla lievitare, crescere. Più cresce, meglio andrà per tutti, più occupazione verrà prodotta. E per far crescere la torta, tutto si dovrebbe fare tranne che accelerare le uscite dal mondo produttivo: se uno Stato dovrà mantenere più pensionati, lesinerà le risorse per imprese, investimenti, giovani, disoccupati. In breve: se uno Stato sceglie di aiutare, di finanziare il passato anziché il futuro, neppure San Francesco potrà realizzare il miracolo della rinascita economica.
Invece si continua a fare nuovo debito per finanziare il passato e saccheggiare il futuro, futuro che dovrà patire a oltranza lo scotto di scelte così anti-razionali.
Né appaiono ragionevoli soluzioni creative/alternative come la fabbricazione di minibot per rimborsare i debiti della pubblica amministrazione. Mario Draghi ha stroncato senza attenuanti l’idea ricicciata nei giorni scorsi: o i minibot sono una moneta parallela, il che sarebbe vietato dalla normativa europea che assegna solo alla Bce la funzione di produrre valuta; oppure i minibot sono il mantello per nascondere altro debito, il che sarebbe perlomeno surreale in un Paese che ha necessità di pagare meno cambiali, i cui interessi divorano le somme che potrebbero essere utilizzate per la crescita.
Non si scappa. L’Italia deve cambiare registro, pena l’inevitabile rottura con la Grande Europa, ma soprattutto con la logica dell’economia.
Quasi certamente, a breve, inizierà una trattativa estenuante con l’Europa, un tira-e-molla giornaliero che potrebbe essere allungato anche dalla fase transitoria successiva al voto del 26 maggio. Non è da escludere che in zona Cesarini si riesca a siglare un compromesso che eviti misure semi-commissariali per lo Stivale.
Ma chi governa dovrebbe rendersi conto che una finanza pubblica risanata non va cercata per fare un piacere all’Europa, ma per ridare speranza e stabilità all’Italia, per restituire fiducia agli italiani. Anche se non ci fosse stata l’Unione, l’Italia avrebbe dovuto fare i compiti a casa, come si usa dire dopo l’esperienza Monti. Né varrebbe obiettare che senza l’euro l’Italia avrebbe potuto utilizzare lo strumento della svalutazione competitiva, visto che, a furia di svalutare, qualunque sistema economico rischierebbe di perdere definitivamente valore, oltre che patire le dure contromisure da parte degli altri Stati.
Anche da come evolverà la trattativa con Bruxelles si capirà la sorte di questo governo e della legislatura. Se non ci saranno margini di accordo, perché la nuova Europa non vorrà fare sconti all’Italia, forse sarà il turno dell’ennesimo governo tecnico predisposto ad accogliere le contumelie generali, salvo chiedersi da dove gli arriverebbero in Parlamento i voti necessari. O forse arriverebbero senza problemi per qualunque soluzione: dal partito trasversale che teme le elezioni anticipate per paura di non tornare più in aula.