Bisogna riconoscere che i Costituenti furono assai saggi nel disegnare e circoscrivere i poteri del Presidente della Repubblica. Se avessero esagerato nel dotare di competenze il Quirinale, avrebbero di fatto introdotto un sistema presidenziale. Che, si sa, funziona solo in un ordinamento di pesi e contrappesi sincronizzati come pezzi di un orologio. In caso contrario, amen. Il rischio di una deriva autoritaria di tipo sudamericano diventa più probabile del solleone estivo. Se, viceversa, i Costituenti avessero fornito il capo dello Stato solo di incombenze protocollari, il Paese avrebbe perso il suo garante numero uno, il suo più prestigioso punto di riferimento, il guardiano riconosciuto della coesione e della coerenza nazionale.
Per fortuna i Costituenti optarono per la soluzione mediana, quella di un Colle in grado di far sentire la propria voce nei momenti di maggiore confusione politica e di assicurare, non da spettatore ininfluente, un sufficiente livello di stabilità.
Il presidente della Repubblica italiana non è un notaio. Non lo è perché tale non lo vollero i padri della patria democratica. Lui nomina il presidente del Consiglio e i ministri, è il capo delle forze armate, presiede il Csm, può sciogliere anzitempo le Camere, ma soprattutto è il custode della Costituzione, ruolo ancora più rilevante alla luce degli obblighi di spesa da rispettare (la Carta prevede l’equilibrio di bilancio tra entrate e uscite).
E meno male che al Quirinale c’è Sergio Mattarella. Mattarella non è un presidente esuberante, come fu Sandro Pertini (1896-1990), né luciferino, come fu Francesco Cossiga (1928-2010), né invasivo, come fu Oscar Luigi Scalfaro (1918-2012). Mattarella è forse il presidente che più si avvicina al modello istituzionale di Luigi Einaudi (1874-1961), sia sul piano temperamentale sia su quello comportamentale. Non a caso la figura dell’economista piemontese è citata spesso negli interventi dell’attuale titolare del Colle.
Anche se, come presidente della Repubblica, Einaudi ha avuto la fortuna di interloquire con un presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi (1881-1954), e un esecutivo assai vicini al suo credo politico, tuttavia - sempre Einaudi - non ha mai mancato di intervenire quando e laddove lo ha ritenuto opportuno. Anche se definì «prediche inutili» i suoi consigli di buongoverno (spesso disattesi).
Addirittura, all’indomani della caduta dell’ultimo esecutivo presieduto da De Gasperi, Einaudi osò sfidare la Dc affidando l’incarico a Giuseppe Pella (1902-1981), che non era il candidato dello scudo crociato a Palazzo Chigi, per dare vita a quello che lo stesso leader dc trentino battezzerà, con una goccia di veleno, con l’imprinting di «governo amico». Come a dire - era il messaggio in codice di Einaudi - che sulle prerogative presidenziali non si scherza.
Mattarella, diversamente da Einaudi, non solo deve relazionarsi con due partner di governo assai distinti e distanti dalla sua storia e cultura politica, ma deve farlo in una fase politica assai turbolenta, non solo sul versante nazionale. L’intera Europa è alle prese con il fenomeno del populismo che sta minando alle radici la pianta dell’Unione. La stessa democrazia liberale e rappresentativa non attraversa un periodo di buona salute, incalzata com’è dai teorici e dai soldati della democrazia diretta e plebiscitaria. Quanto alle alleanze internazionali, si è messo in moto un frullatore che sta rompendo e sminuzzando rapporti blindati, consolidati da decenni. L’America di Trump sta rinunciando al suo status di sentinella del pianeta, né vuole più assolvere il compito esclusivo (e gravoso) di ombrello militare dell’Europa occidentale. Al contrario, Russia e Cina sono sempre più propense a giocare a tutto campo, sull’intera sfera terrestre, e in particolare sul Vecchio Continente.
Mattarella non nasconde il suo disagio per la deriva anti-parlamentare che sta trascinando l’Europa verso un avvenire sempre più incerto e aleatorio. Così come il Presidente dimostra una giustificata apprensione per il difficile momento delle istituzioni sovranazionali che furono fondate, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, a salvaguardia della libertà e della democrazia.
Particolari timori Mattarella manifesta sulle prospettive economiche della Penisola e dell’Unione. Gli attacchi multiformi, in Europa, alla moneta unica e al processo di integrazione politica vanno nella direzione opposta a quella auspicata dal Capo dello Stato. Di qui i suoi pressanti inviti all’oculatezza finanziaria, di qui i suoi moniti per l’osservanza dei trattati internazionali, di qui i suoi appelli a non cadere nella tentazione del sovranismo.
Mattarella è figlio della cultura cattolica, democratica, liberale e atlantica dell’Occidente. E non intende disconoscere i pensatori e i testi su cui si è formato. Mattarella rappresenta un faro non solo per chi si riconosce in questi valori, ma anche, sotto altri versi, per chi è intenzionato a metterli in discussione o a rimuoverli.
Infatti. La democrazia non si esaurisce al momento del voto. La democrazia moderna si fonda sulle Costituzioni liberali, che ricordano, in ogni virgola, il primato del governo delle leggi sul governo degli uomini. Mattarella sottolinea questi precetti in ogni occasione, anche se la sua lezione può sembrare, e in parte lo è, una lunga tirata d’orecchi ai governanti in carica.