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Confusione, la rincorsa tra Italia e Regno Unito

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Inghilterra, Big Ben

Forse c’è un solo Paese che sta messo peggio dell’Italia, tra le dieci nazioni più ricche del globo. È la Gran Bretagna.

Martedì 02 Aprile 2019, 15:18

Confusione al Potere. Forse c’è un solo Paese che sta messo peggio dell’Italia, tra le dieci nazioni più ricche del globo. È la Gran Bretagna. Fino a pochi anni fa, il Regno Unito era un modello di stabilità e governabilità. Il suo sistema di governo (il citatissimo modello Westminster) era il sogno proibito di tanti premier europei alle prese, ogni giorno, con agguati esterni e imboscate interne (alle rispettive maggioranze). Invece, il modello Westminster, che di fatto attribuisce al primo ministro britannico poteri che la Costituzione americana nega al titolare della Casa Bianca, costituiva (e in teoria continuerebbe a costituire) una sorta di armatura che avrebbe scoraggiato persino gli avversari più temerari.

Ma siccome nessuna legge e nessun ordinamento possono piegare una comunità se la cultura dominante va in tutt’altra direzione, anche il tanto celebrato modello inglese ha dovuto arrendersi allo spirito del tempo, cioè alla conflittualità permanente incoraggiata dalla «democrazia diretta» in Rete. Cosicché il capo del governo inglese, da essere un premier cui pure il ministro degli esteri doveva deferenza continua e obbedienza assoluta, si è trasformato in una specie di presidente del Consiglio all’italiana, costretto, tradizionalmente, più a mediare tra le varie anime del suo schieramento che a dirigere la politica dell’esecutivo.

Il sì referendario alla Brexit ha provocato nell’Isola più sconquassi di un maremoto. Colà, da tre anni, regna più il fattore Confusione che la regina Elisabetta. Gli stessi inglesi non sanno che pesci prendere, anche perché il Regno Unito è spaccato a metà, come una mela. Da un lato c’è Londra, la capitale che alla sola idea di divorziare definitivamente dall’Europa finisce comprensibilmente nel pallone: manco un redivivo Bin Laden (1957-2011) riuscirebbe a spaventarla in egual misura. Dall’altro lato c’è la provincia inglese, nostalgica di un impero che non c’è più e ignara delle conseguenze devastanti, innanzitutto per il popolo di Sua Maestà, che la fuga dall’Unione Europea comporterebbe. In mezzo c’è la signora Theresa May, cui madre natura non ha donato il carisma di Margaret Thatcher (1925-2013). Il che la rende più oscillante e malinconica di una foglia autunnale.

A vedere ciò che accade in Inghilterra verrebbe, dunque, da consolarsi, da concludere che c’è chi sta peggio di noi, in materia di stabilità politica e di prospettive economiche immediate. E, in effetti, come già detto prima, è proprio così. La May sta messa peggio di Giuseppe Conte.
Ma l’Italia dà l’impressione di non voler rinunciare al primato (negativo) di Paese più precario dell’Occidente. Ed è probabile che in questi mesi possa recuperare il gap con l’Inghilterra e riposizionarsi al vertice della classifica delle nazioni più ingovernabili d’Europa.

Ormai è assodato, anzi pressoché ufficiale. Nel governo italiano convivono, a geometrie e fasi variabili, maggioranza e opposizione. Su quasi tutti gli argomenti. Non è la prima volta che il fenomeno si verifica, in verità. Anche negli anni della (ora) rivalutata (forse troppo) Prima Repubblica, la tendenza alla dissociazione e opposizione interna al governo era alquanto diffusa. Basti pensare che alcuni ministri arrivavano fino al punto di scendere in piazza contro provvedimenti approvati da riunioni, a Palazzo Chigi, cui loro stessi avevano partecipato in prima persona. Per non dire del fuoco amico affidato ad interviste-choc contro la linea del presidente del Consiglio in carica. E i congressi di partito convocati, sovente, per dare il benservito alla squadra ministeriale? Insomma, nulla di nuovo sotto il sole.
Ma stavolta è alquanto diverso. Stavolta ci troviano sulla lunghezza d’onda di Londra - dove la confusione è massima, però la situazione, a differenza di quanto auspicato dal cinese Mao (1893-1976), non è affatto ottima - perché la cesura tra i due soci di governo, a Roma, verte su quasi tutti gli argomenti, fatta eccezione forse per la diffidenza, se non per l’ostilità, verso l’Unione Europea. E dal momento che le elezioni, di solito, costituiscono la principale insidia per la tenuta di una coalizione in carica, visto che il voto esalta le differenze e arroventa gli animi peggio di Luciano Spalletti sul caso Icardi, bisogna mettere in preventivo - da qui alle europee del 26 maggio - una stagione elettorale, al cui confronto i colpi bassi del Palio di Siena somiglierebbero a carezze tra innamorati.

In Italia può succedere di tutto. Può succedere persino che dopo le reciproche micidiali botte preelettorali, i duellanti facciano finta di nulla e riprendano il percorso comune con la nonchalance di due gentlemen capitati lì per caso. Ma i miracoli sono rari pure fra i santi. Figuriamoci tra quelli che santi non sono.
Non rimane che mettere in agenda un’estate all’insegna di una lunga volata elettorale. Anche perché il colpo di grazia alla legislatura in corso lo ha già dato l’economia, con la sua crescita zero, che significa sotto zero, accertata da tutti gli studi più attendibili. E crescita zero (cioè sotto zero) vuol dire manovrona, non manovrina. E manovrona è sinonimo di nuove tasse, non di detrazioni fiscali a volontà. Meglio votare prima.
Conclusione. Gli inglesi si sono messi da soli nei guai con un referendum dal verdetto sciagurato (sì alla Brexit). Gli italiani si ritrovano nei guai perché il governo è formato da irriducibili antagonisti. Roba da immaginazione al potere. Più confusione di così...

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