Meno male che l’Europa c’è. Non foss’altro perché la sua costruzione liberale e democratica le consente di rimediare ai propri errori. Ma se l’Europa - come lascia intendere l’ex ministro Giulio Tremonti - ricordasse un po’ meno «La fattoria degli animali» di George Orwell (1908-1950), dove tutti gli animali sono uguali, ma alcuni più uguali degli altri, la sua reputazione se ne gioverebbe. Vedi (sempre Tremonti) la vicenda del bail in («Si applica all’Italia mentre in Germania si pianificano macro-aiuti di Stato»).
Lo stop (2015) da parte della commissione Ue al salvataggio di Banca Tercas con il contributo (265 milioni a fondo perduto) del Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD) ha provocato, infatti, più danni di un terremoto. La Banca Popolare di Bari che, con il placet di Banca d’Italia, aveva condotto l’operazione di soccorso all’istituto abruzzese, si è subito ritrovata spiazzata dopo aver scucito quasi 300 milioni di euro, il che ha provocato a cascata problemi di liquidità e di natura giudiziaria. Il sistema bancario nazionale è finito nel pallone, col timore che la crisi di una singola azienda di credito potesse travolgere tutte le altre, e con l’angoscia di non poter utilizzare le somme private del FITD. Lo Stato, cioè il governo, si è messo le mani nei capelli, prima non sapendo cosa fare, poi intervenendo in una condizione di particolare emotività (eufemismo). A pensarci bene, tutti i guai di Matteo Renzi, sono cominciati col tentativo di salvare Banca Etruria e di ridisegnare il risiko creditizio.
L’incipit di questi effetti a cascata corrisponde alla decisione di Bruxelles di considerare salvataggio di Stato l’intervento del FIDT (al fianco della Popolare di Bari) per la resurrezione di Banca Tercas.
Ma se i soldi del FIDT derivano dal risparmio privato, come possono essere ritenuti aiuti di Stato? Se i milioni del FIDT sono aiuti di Stato, allora lo shopping assistenziale da parte della Cassa Depositi e Prestiti cos’è? Eppure grazie a un colpo di creatività, la natura giuridica della Cdp viene associata all’ ambito privatistico, il che le consente di sfuggire, quando assorbe attività, a molti controllori e censori di casa a Bruxelles.
Comunque, il Tribunale Ue ha sconfessato l’altro ieri la linea della Commissione sui soccorsi alle banche in difficoltà, linea che, ora, evidentemente, dovrà essere riscritta.
La certezza del diritto è una conquista di inestimabile valore. E la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato costituisce una garanzia fondamentale perché l’invocazione della certezza del diritto non risulti una vacua esclamazione, buona solo per strappare applausi nei convegni.
L’arbitro in questione può essere uno Stato nazionale, o un’Autorità sovranazionale. Ma se un’Entità di tale livello dopo aver lasciato, su temi specifici, spazio esclusivo al diritto privato, cambia idea e scende direttamente in campo introducendo elementi pubblicistici, non solo crea confusione, ma va in contraddizione con sè stessa. Non si può avviare un contratto tra privati basandosi, com’è giusto che sia, su criteri esclusivamente privatistici, per poi, strada facendo, interferire nell’affare (bloccandolo o modificandolo) in nome di presunte contaminazioni pubblicistiche. È proprio l’interventismo di Stato o di un’Unione di Stati il principale propellente del diritto pubblico che brucia il diritto privato. Con i burocrati che fanno festa.
E pensare che l’Europa unita è sorta proprio per evitare il dirigismo di Stato, per consentire ai privati di utilizzare l’istituto del contratto senza dover subire pesanti vincoli da parte di un pianificatore onnipotente. L’Europa, tutto sommato, ha svolto più o meno bene il suo ruolo di guardiano del mercato, salvo distrarsi ogni tanto e cadere nella tentazione rilevata da Tremonti, quella di considerare alcuni animali della fattoria più uguali degli altri.
Ma per fortuna, nelle società liberaldemocratiche, gli errori si possono correggere, anche se hanno prodotto una montagna di conseguenze negative. Il peccato originale, a Roma e a Bruxelles, è sempre lo stesso: voler doppiare procedure di diritto privato con procedure di diritto pubblico. Un peccato figlio della «presunzione fatale» del Potere di voler pianificare tutto e il contrario di tutto; di voler regolamentare pure la bottega di un barbiere; di voler caricare - ad esempio - il sistema bancario di regole e vincoli più depressivi dell’annuncio di un rialzo dell’Imu.
Il diritto pubblico (la mano statale o sovrastatale) e il diritto privato (cittadini e imprese) dovrebbero rispettarsi a vicenda senza invadere le rispettive corsie di riferimento. Invece le invasioni di campo sono all’ordine del giorno. In questa fase, è il diritto pubblico a fare l’asso pigliatutto. Una filosofia che non è attecchita soltanto in Italia, ma ha fatto proseliti anche oltre frontiera e negli organismi internazionali.
Sarebbe opportuna una dieta che plachi la voracità dei custodi del diritto pubblico, pena il rischio di favorire il definitivo passaggio da un’economia libera a un’economia amministrata. In fondo il vero sistema maggioritario e bipolare è tra chi auspica il primato del diritto pubblico e chi vuole la prevalenza del diritto privato, o perlomeno la non belligeranza, cioè la paritaria coesistenza, tra i due.